Mercati emergenti, periodo di elezioni mette a dura prova asset e valute

Nel primo semestre del 2018 si sono tenute alcune importanti tornate elettorali in diversi Paesi emergenti: dalla Turchia alla Colombia, dal Paraguay al Venezuela, sono numerosi gli appuntamenti di rilievo, ora concentrati sulle elezioni presidenziali in Messico appena conclusesi e in grado di concludersi poi ad ottobre con quelle brasiliane.

Considerato che valutare il rischio politico e l’indirizzo delle politiche è una parte fondamentale del processo di analisi, David Robbins, co-gestore del fondo TCW Funds Emerging Markets Local Currency Income, TCW, poche ore fa ha diffuso un interessante commento sullo scenario attuale e su ciò che potrebbe accadere nel breve e medio termine.

Le obbligazioni dei mercati emergenti

L’esperto ci ricorda innanzitutto come le obbligazioni dei Mercati Emergenti tendono a trattare a un prezzo inferiore rispetto a quelle dei mercati sviluppati. La ragione è presto individuabile nel fatto che questi Paesi hanno istituzioni e tradizioni politiche meno radicate, anche se appare evidente come anche alcuni mercati “maturi” abbiano mostrati chiari segnali di incremento del rischio (sia sufficiente pensare agli Stati Uniti, al Regno Unito e all’Italia) e che, di contro, vi è stato un netto miglioramento nei mercati emergenti.

America Latina

Concentrandosi geograficamente sulle principali macro aree, Robbins ci rammenta come le prospettive economiche dell’America Latina “variano da Paese a Paese. La maggior parte delle economie della regione sta facendo registrare un’espansione positiva, e prevediamo che il PIL medio dell’America Latina crescerà del 2,3% quest’anno, superando il livello medio dell’1,5% circa visto nel periodo 2012-2017. Tuttavia, alcune economie della regione stanno mostrando segnali di rallentamento a causa di venti contrari esterni e della risposta politica a questi venti contrari”.

Secondo Robbins una parte del recente deprezzamento delle valute sudamericane andrà a ripercuotersi anche sull’inflazione, ponendo così fine al ciclo di “low-flation” in Paesi come Brasile, Cile e Perù. Complessivamente, ritiene però che l’inflazione media dell’America Latina quest’anno dovrebbe attestarsi attorno al 3,6%, rispetto a una media del 4,8% circa nel periodo 2012-2017.

Brasile

Più dettagliatamente, l’analista ha segnalato come in Brasile il Presidente ad interim, Michel Temer, ha dato il via a una serie di riforme economiche necessarie da quando è salito al potere nel 2016, a seguito dell’impeachment nei confronti della sua predecessora, Dilma Roussef.

Nonostante ciò è chiaro che il Paese necessita ancora di un significativo aggiustamento fiscale, a partire da una riforma del sistema pensionistico. Gli osservatori ritengono che di ciò si parlerà in modo insistente nei prossimi mesi, ma che non si farà nulla prima delle elezioni del prossimo autunno e, dunque, del 2019.

Messico

Il Messico è reduce dalle recentissime elezioni presidenziali. A vincere, per la prima volta nell’era moderna, è stato un uomo di sinistra, Lopez Obrador, la cui squadra ha espresso opinioni generalmente rassicuranti per i mercati finanziari, mantenendo vivo l’interesse degli investitori stranieri.

Naturalmente, è ancora troppo presto per poter effettuare delle valutazioni più precise, considerata l’incertezza sulla composizione del Congresso e sull’effettiva forza del nuovo Capo di Stato, “senza contare che il Paese ha istituzioni solide e indipendenti (come la Banca centrale) che potrebbero porre alcuni limiti importanti al suo spazio di manovra” – aggiunge Robbins.

Anche in virtù di ciò, l’analista di TCW chiude il commento affermando di attendersi “un periodo di sostanziale stallo tra le elezioni di ieri, la formazione del nuovo Congresso (settembre) e l’assunzione della carica da parte del nuovo Presidente (1° dicembre), durante il quale il mercato monitorerà le nomine governative, le dichiarazioni politiche e, soprattutto, l’approvazione del bilancio fiscale del 2019 da parte del Congresso appena formato”.

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