Petrolio verso quota 100 dollari? Potrebbe essere, ma attenzione alle inversioni di rotta

Desiderosi di partecipare a un rally petrolifero verso quota 100 dollari a barile? La strada potrebbe essere tracciata, ma attenzione a non illudersi: il rally dei prezzi potrebbe essere di breve durata, lasciandovi pertanto con profonde delusioni in caso di errato ingresso.

Ad affermarlo è Janet Kong, responsabile delle attività di trading del gigante dell’energia BP Plc in Asia. Secondo la manager, qualunque picco di perdita delle forniture iraniane a causa delle sanzioni statunitensi probabilmente non sarà sostenibile a lungo termine, perché l’impatto negativo sulla domanda di una guerra commerciale tra le due maggiori economie del mondo non è stato ancora valutato in modo approssimativo.

I commenti di Kong sono in contrasto con le opinioni dei funzionari delle principali società di trading petrolifero, come Trafigura Group e Mercuria Energy Group Ltd., che invece vedono una incombente crisi di offerta in grado di condurre il benchmark globale del Brent a 100 dollari al barile per la prima volta in quattro anni. Nelle ultime settimane, i prezzi hanno in gran parte attenuato le crescenti tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti, con la speculazione sull’impatto delle sanzioni americane sull’Iran che sta dominando il sentimento degli investitori.

“Il mercato ha trascurato i risultati della guerra commerciale USA – Cina, in che modo ciò potrebbe avere un impatto sull’economia globale, sulla crescita della Cina e sull’economia regionale in Asia”, ha detto ancora Kong in un’intervista a Bloomberg.

Ricordiamo che ad inizio settimana il Brent è salito sopra gli 80 dollari al barile dopo che l’OPEC e i suoi alleati hanno segnalato una minore urgenza nell’aumentare la produzione, nonostante le pressioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a moderare i prezzi. Il recente rally del greggio ha stimolato una divergenza da altre materie prime come il rame, che sono state trascinate sui timori che la crescita globale sarà erosa da una guerra commerciale che non mostra segni di allentamento.

Rammentiamo altresì che circa 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi sono divenuti soggetti alle maggiori tariffe statunitensi, oltre a 50 miliardi di dollari di beni che erano stati individuati all’inizio di quest’anno. La Cina ha detto che non terrà colloqui commerciali con gli USA a meno che Trump non interrompa le sue minacce.

Insomma, mentre è vero che potrebbe esserci un “significativo irrigidimento” del mercato nei prossimi tre – sei mesi con la scomparsa delle esportazioni di petrolio iraniane, la domanda potrebbe comunque risentirne l’anno prossimo a causa della guerra commerciale, ha detto Kong. Inoltre, entro i prossimi 12 mesi, è probabile che l’offerta cresca man mano che l’OPEC aumenterà la produzione, e lo stesso potrebbero fare i giacimenti statunitensi, dopo aver già sollevato la produzione di 1,3 milioni di barili al giorno nel 2018.

Le crescenti tensioni commerciali stanno minacciando di far deragliare una ripresa globale che sta già perdendo slancio, ha avvertito il Fondo Monetario Internazionale a luglio. Ciò potrebbe tradursi in un declino globale della domanda di petrolio da 150.000 a 200.000 barili al giorno in quello che potrebbe diventare noto come uno “shock della domanda”, ha poi aggiunto Kong.

Tuttavia, la mancanza di chiarezza sul potenziale volume totale delle perdite di greggio iraniane dovute alle sanzioni statunitensi aiuterà a sostenere i prezzi a breve termine, ha altresì dichiarato, concludendo che se la perdita è “drammaticamente elevata”, con la conseguente eliminazione di 1,5 milioni di barili al giorno o più, il mercato subirà uno shock negli ultimi tre mesi di quest’anno.

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