Andamento di contrattazioni tutto impostato al ribasso per la borsa di Milano nella seconda seduta settimanale di scambi. Il Ftse Mib, già ieri non particolarmente brillante, è andato sotto fin dal primo momento di contrattazioni tanto da arrivare a perdere oltre l’1,6 per cento dopo circa un’ora. Quando c’è un ribasso di simili proporzioni è chiaro che la netta maggioranza dei titoli sono in sofferenza e che le quotate a maggiore market cap (a partire dalle banche che da sempre imbottiscono l’indice di riferimento) sono sul fondo. E in effetti la situazione in atto mentre è in corso la scrittura dell’articolo è proprio questa: quasi tutti i titoli sonio in rosso (a salvarsi sono solo alcune utility e anche questo non deve stupire visto che questo settore è garanzia di stabilità nelle fasi di più alta incertezza) e tra i peggiori ci sono Monte dei Paschi, Banco BPM, Unicredit e via via tutte le altre banche. Ovviamente, tenendo conto dell’ampiezza del passivi fin qui in atto, non sono solo le banche ad essere in difficoltà e nella lista dei peggiori troviamo anche big del settore industriale come Stellantis, Telecom Italia e Saipem.
Insomma il classico quadro in cui tutto sembra andare male. Ma cosa sta succedendo? Come spiegare questa situazione?
Ftse Mib a picco: cosa sta succedendo sulla borsa di Milano oggi
Iniziamo col dire che la borsa di Milano non sta andando a picco in autonomia. Al contrario c’è una certa sofferenza su tutte le borse del vecchio continente. Del resto non poteva andare diversamente alla luce degli spunti negativi arrivati dal Giappone. Per il Nikkei 225, indice di riferimento della piazza nipponica, quella di martedì è stata una seduta da incubo: 3,22 per cento con vendite che hanno affossato moltissimi titoli. Un disastro da cui è nato il classico effetto domino in Europa.
Giusto per meglio chiarire la dinamica degli eventi va segnalato che, a sua volta, il crollo della borsa di Tokyo (e la pessima performance dei mercati asiatici) sono stati la conseguenza dell’arretramento di Wall Street. La prima sessione settimanale del mercato americano si è infatti chiusa con il Dow Jones in calo dell’1,18% a 46.590 punti, il paniere S&P 500 in flessione dello 0,92% a 6.672 punti e il Nasdaq che ha lasciato sul parterre lo 0,84% a 22.708 punti. Tra i singoli titoli drammatica la sessione di Dell Technologies che ha perso oltre 8 punti percentuali in scia alla decisione degli analisti di Morgan Stanley di tagliare il rating a underweight e il target price a 110 dollari.
Insomma non crediamo sia necessario dilungarsi oltre: sui mercati c’è un netto peggioramento del sentiment rispetto al contesto della scorsa settimana. La borsa di Milano non ne è immune.
Le ragioni del crollo delle borse mondiali
Come oramai chiaro, il forte ribasso di Piazza Affari viene da lontano. Tutto, infatti, parte da Wall Street. E’ lì che si è verificato un cambiamento evidente nel sentiment degli operatori con una vera e propria inversione che riflette l’incertezza crescente sulle future mosse della Federal Reserve. Fino a poche settimane fa i mercati sembravano dare quasi per scontata la possibilità di un taglio dei tassi entro la fine dell’anno; oggi, invece, questa convinzione si è notevolmente affievolita. Secondo le rilevazioni del FedWatch Tool del CME Group, oramai soltanto il 39,9 per cento degli investitori considera ancora plausibile un intervento espansivo a dicembre. L’opinione prima prevalente è diventata minoritaria.
A determinare il mutamento della percezione è soprattutto la scarsità di dati macroeconomici recenti, un effetto diretto dello shutdown più lungo della storia degli Stati Uniti. La prolungata paralisi delle attività governative ha infatti rallentato o bloccato la pubblicazione di numerosi indicatori fondamentali, privando la banca centrale, e di riflesso anche i mercati, di informazioni cruciali per valutare lo stato effettivo dell’economia Usa. Senza queste evidenze, le aspettative su un possibile allentamento monetario si fanno inevitabilmente più caute.
In questo contesto di incertezza, uno dei settori maggiormente osservati rimane quello tecnologico. Le aziende tech, che negli ultimi anni hanno trainato la crescita dei listini americani, si ritrovano ad affrontare un mercato più diffidente. Già prima dell’attuale fase di stallo, molti analisti avevano iniziato a interrogarsi sulla sostenibilità delle loro quotazioni, spesso considerate elevate rispetto ai fondamentali. L’assenza di un taglio del costo del denaro, che renderebbe meno oneroso il finanziamento e più appetibili gli utili futuri, potrebbe accentuare il divario tra aspettative e realtà.
Il rischio, dunque, è che la combinazione tra incertezza economica e valutazioni elevate esponga il comparto tecnologico a una maggiore volatilità nei prossimi mesi. Fino a quando la Federal Reserve non potrà contare su dati aggiornati e chiarezza sulle prospettive macroeconomiche, i mercati dovranno fare i conti con un clima di prudenza che potrebbe incidere in modo significativo sull’andamento di tutto il settore. La borsa di Milano, lontana geograficamente dagli Usa, paga tutto questo a dimostrazione ancora una volta di quando centrale sia la borsa di Wall Street nelle dinamiche globali di mercato.
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