Facebook ha ammesso che i dati della maggior parte dei suoi 2 miliardi di utenti potrebbero essere stati consultati in modo improprio, fornendo implicitamente nuove prove sul modo in cui il gigante dei social media non sia riuscito a proteggere la privacy dei fruitori dei propri servizi, e generando miliardi di dollari di entrate dalle informazioni così vendute.

La società ha anche specificato di aver rimosso una funzione che consentiva agli utenti di inserire numeri di telefono o indirizzi e-mail nello strumento di ricerca di Facebook per trovare le persone, con una funzionalità che sarebbe stata usata da “malintenzionati” per reperire delle informazioni sui profili pubblici.

“Considerata la portata e la sofisticatezza delle attività che abbiamo visto fin qui, riteniamo che la maggior parte delle persone su Facebook abbia potuto subire qualche prelievo di dati personali dal proprio profilo pubblico” – ha affermato la società – “e quindi ora abbiamo disabilitato questa funzione”.

Facebook ha anche affermato che i dati di ben 87 milioni di persone, molte delle quali negli Stati Uniti, potrebbero essere stati scambiati impropriamente con la società di ricerca Cambridge Analytica. Si tratta della prima conferma ufficiale di Facebook dell’eventuale portata vissuta con la nota perdita di dati, che in precedenza era stata stimata in circa 50 milioni.

“Non abbiamo avuto una visione abbastanza ampia di ciò che era la nostra responsabilità e questo è stato un errore enorme. È stato un mio errore” – ha poi dichiarato l’amministratore delegato di Facebook, Mark Zuckerberg, in una conference call con i giornalisti.

Zuckerberg dovrebbe ora comparire prima dell’audizione congiunta del Comitato giudiziario e del commercio del Senato il 10 aprile prossimo, per discutere del ruolo di Facebook nella società e della privacy degli utenti. Il governo australiano ha intanto dichiarato di aver avviato un’indagine formale in merito al fatto che Facebook abbia o meno violato le leggi sulla privacy del Paese.

Nella sua call Zuckerberg ha poi difeso il modello di business pubblicitario dell’azienda, ha confermato di voler rimanere in carica e non ha rivelato alcun “impatto significativo” da parte di una campagna online, in corso da parte di alcuni utenti, e finalizzata a incentivare la cancellazione dei propri account dal social media.

Il CEO di Facebook ha poi parlato della nota vicenda che lega la società a Cambridge Analytica. Circa 270.000 persone hanno infatti scaricato un’applicazione per il quiz sulla propria personalità, condividendo così delle informazioni su se stessi e sui loro amici con un ricercatore, che ha poi trasmesso le informazioni a Cambridge Analytica, in una mossa che secondo Facebook era contraria alle sue regole. Di qui, il calcolo degli 87 milioni di utenti coinvolti nello scandalo, e conteggiato aggiungendo tutte le persone “uniche” che quei 270.000 utenti avevano come amici quando hanno dato il permesso all’app.

Cambridge Analytica, che ha lavorato per la campagna presidenziale di Donald Trump nel 2016, ha dichiarato di aver autorizzato i dati su 30 milioni di persone, contrastando così la stima eccessiva di 87 milioni di Facebook. Cambridge Analytica ha poi dichiarato in un tweet di aver “cancellato immediatamente i dati dal server e aver iniziato il processo di ricerca e di rimozione di qualsiasi derivato dei dati nel sistema”, subito dopo che Facebook li ha contattati per informarli che le informazioni erano state ottenute in modo improprio.

Per quanto concerne il futuro a breve termine, Facebook ha affermato che informerà gli utenti, con un avviso in cima al feed di notizie a partire dal 9 aprile, se le loro informazioni siano o meno state scambiate impropriamente con Cambridge Analytica. Tuttavia, Zuckerberg non ha affrontato un tema che probabilmente sarà invece costretto a condividere quando testimonierà prima del Congresso la prossima settimana: quante altre perdite di dati sono avvenute?

Nella call, Zuckerberg si è limitato ad affermare di non essere sicuro. “Non saremo in grado di trovare ogni singolo cattivo uso dei dati, ma quello che possiamo fare è rendere molto più difficile fare ciò che è stato fatto”.

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