Facebook, il flop di mercato è l’anticamera di una crisi globale?

Il flop di Facebook, recentemente crollata in Borsa, è un’anticamera delle difficoltà nel mercato finanziario? Considerato che le azioni Big Tech governano l’indice di Borsa S & P 500 e buona parte dell’economia, c’è da temere dal tremore di alcuni grandi player?

È quanto si è domandato negli scorsi giorni Stephen Gandel sulle pagine di Bloomberg, che ricorda come la scorsa settimana, una tregua commerciale tra gli Stati Uniti e l’Unione europea, le aspettative di una forte crescita del prodotto interno lordo USA, e l’attesa di utili societari mai così in forma avrebbero dovuto spingere le azioni su livelli discretamente più elevati.

E invece, giovedì, le azioni sono crollate, sotto i colpi delle pressioni esercitate su Facebook. Che, ben inteso, pubblicata un report sui propri guadagni in cui indicava che i ricavi sono aumentati del 42%, invece di un previsto 43%. Quanto basta per essere letto dagli investitori come un disastro, conducendo la società a perdere oltre 100 miliardi di dollari di capitalizzazione in una botta sola.

Naturalmente, Facebook può anche permettersi di perdere così tanto, visto e considerato che è una delle aziende più “preziose” del mercato (anche ora vale più di 500 miliardi di dollari). Eppure quanto accaduto alla compagnia di Zuckerberg sembra aver lasciato il segno. Le sue entrate provengono d’altronde dalla pubblicità, e più indirettamente dall’utilizzo del suo relativamente giovane social network. I margini di profitto di Facebook sono molto più alti di quelli del resto delle aziende americane, ed è meno coinvolta nelle attuali bagarre commerciali. In Cina, è sostanzialmente bloccato.

Non solo. Facebook è un leader di Borsa, è la “F” nel famoso FAANG, l’acronimo che include il gruppo di big tech che riguarda anche Amazon, Apple, Netflix e Google. Da quando Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali, la capitalizzazione di mercato totale delle azioni nell’S & P 500 è aumentata di $ 6 trilioni e la metà di questo guadagno è stata proprio nel comparto tecnologico (e quasi la metà di questo, più di $ 1.4 trilioni, è riconducibile ai cinque titoli FAANG).

Eppure, tutto questo non è bastato per sorreggere Facebook dinanzi a un tiepido rallentamento dei ricavi. L’analista su Bloomberg citava esperti di mercato come James Paulsen, di Leuthold, che hanno sottolineato come questo tipo di dipendenza dai guadagni di pochi titoli è comune nelle fasi dei picchi di mercato. E non è nemmeno una situazione nuova: alla fine del 1999, i cinque maggiori titoli rappresentavano il 17% del capital market di S & P 500, più del 14% di quanto no navvenga oggi. Non è nuova nemmeno la situazione per quanto concerne il rapporto prezzo / utili, che nel 1999 era di 71, e oggi è di 58.

Ciò che è diverso rispetto a quasi 20 anni fa è che al culmine della bolla delle dot-com, due dei cinque titoli più importanti del mercato, General Electric Co. e Walmart Inc., provenivano dall’industria tecnologica. Alla fine del 2007, quando il mercato ha raggiunto il picco prima della crisi finanziaria, solo una delle azioni tecnologiche, Microsoft Corp., era tra le prime cinque del mercato. In questi giorni tutti i primi cinque sono aziende tecnologiche, anche se – di contro – non tutti i big fanno parte del gruppo FAANG (Microsoft è tra le prime cinque ma non è nell’acronimo, Netflix non lo è ma è inclusa).

Un’altra differenza citata da Stephen Gandel: mentre le azioni tecnologiche rappresentano il 30 percento del valore dello S & P 500, leggermente superiore a quello del 1999, rappresentano anche il 23 percento dei guadagni attesi per l’S & P del prossimo anno, rispetto al 15 percento del 1999. Quindi non solo i valori di mercato sono sempre più guidati dalla tecnologia, ma anche l’economia lo è. Non sfugge nemmeno pensare che in fondo a cambiare è anche ciò che noi consideriamo come “tecnologia”. Nel 1999 le cinque maggiori società tecnologiche erano Microsoft, Cisco Systems, Intel, Nokia e International Business Machines.

Oggigiorno, invece, il settore tecnologico è molto più grande ed eterogeneo, e l’economia ha finito con l’esserne sovrastata. Amazon è il rivenditore più importante del mondo, con un valore di mercato di $ 500 miliardi superiore al valore di Walmart e Costco messi insieme (che invece sono i retailer “vecchio stile” più noti d’America). Alphabet, la holding di Google, domina l’industria della pubblicità, e ha anche un piede nel business automobilistico con la sua compagnia di auto a guida autonoma, Waymo. Netflix è parte integrante dell’industria cinematografica e dei media.

Insomma, attualmente i valori delle azioni sono molto elevati, in parte perché i profitti delle aziende tendono a crescere più rapidamente rispetto al resto dell’economia, con margini di profitto ai massimi storici. Facebook potrebbe essere una “spia” di come si evolverà il settore, e anche un indicatore precoce di come il governo intenderà occuparsi del predominio delle informazioni e dei media da parte delle grandi tech, aggiungendo – in fondo – nuova volatilità al mercato, considerato che investitori e stakeholders sono molto più nervosi su Facebook e sul resto del futuro delle azioni di FAANG (valutato il loro peso), e perché il dominio continuo del gruppo FAANG è tutt’altro che sicuro…

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