Esistono ancora mercati che….sono a buon mercato? E’ questa la domanda che l’analista Duncan Lamont, Head of Research and Analytics di Schroders si è posto in considerazione di quanto avvenuto a cavallo tra fine 2018 e inizio 2019. Secondo l’analista i traders che hanno avuto sufficiente sangue freddo da non vendere le azioni in loro possesso in scia alla paura causata dal sell-off di fine 2018, sono stati ricompensati per bene dal rally di inizio 2019.

Lamont rileva come dei cinque mercati regolarmente monitorati ossia Regno Unito, USA, Europa, Giappone e Mercati Emergenti, anche quello che è andato peggio, in tal caso quello giapponese, è riuscito a registrare un rendimento dell’8 per cento da inizio anno. Il mercato che ha registrato la performance più forte è stato quello Usa con un rialzo del 13,9 per cento. Tale balzo ha praticamente compensato il calo del 13,7 per cento rimediato nell’ultimo trimestre 2018. Tuttavia secondo Schroders è sempre consigliabile ricordare che un rialzo non basta per contrastare una perdita precedente dello stesso ammontare e per questo motivo il rendimento complessivo dell’azionario USA nei sei mesi a cavallo tra fine 2018 e inizio 2019 è pari all’1,7 per cento. Questo valore si raffronta con il +10 per cento che Regno Unito, Europa e Mercati Emergenti hanno invece registrato.

Secondo Lamont le valutazioni rappresentano un ottimo indicatore dei rendimenti a lungo termine. Comprare quando le azioni sono a buon mercato significa avere molte più occasioni di profitto mentre comprare quando i titoli sono costosi richiede di una serie di fattori aggiuntivi per poter ottenere un profitto.

Nel mese di gennaio che la combinazione tra crescita solida degli utili e ribasso dei mercati ha portato l’azionariato globale su valori molto prossimi ai minimi degli ultimi anni. A gennaio le prospettive a lungo termine aveva registrato un miglioramento.

Nonostante le valutazioni vengano considerate un indicatore non molto affidabile per misurare la performance nel breve termine, le borse sono riuscire a registrare una progressione rispetto a citati livelli minimi. Nonostante questo, però, la prestazione forte dei primi mesi del 2019 sta a significare che i rendimenti che erano attesi nel medio-lungo termine sono stati già centrati. Questa dinamica implica una riduzione delle prospettive di guadagno futuro.

A questo punto, però, l’analista di Schroders fa una distinzione. Escludendo gli Usa, la maggior parte degli indicatori di valutazione come ad esempio il rapporto prezzo/utili forward e trailing oppure il rapporto prezzo/valore contabile e dividend yield è vicino alle medie storiche. E’ questo un segnale di allarme ma neppure più di tanto. Logicamente potrebbero anche essersi delle performance negative ma è da considerarsi improbabile che le valutazioni possano essere la causa del problema.

Il report degli analisti si chiude con un consiglio: scommettere contro le azioni Usa è da anni un’impresa folle e agli investitori conviene continuare a mantenere un’esposizione che sia più bilanciata.

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