L’andamento del prezzo del petrolio oggi non è quello che ci si attenderebbe dinanzi a decisioni come quelle che sono state adottate ieri dall’Opec ma, nel mondo delle materie prime, si sa, è sempre meglio mai dare nulla per scontato.
Mentre è in corso la scrittura del post la quotazione petrolio si muove poco al di sotto della parità con il WTI in ribasso dello 0,33 per cento a 54,91 dollari al barile e il Brent che invece registra una flessione dello 0,31 per cento a quota 60,19 dollari al barile. La flessione delle quotazioni oil non è nulla di trascendentale ma stupisce se si pensa a quelle che sono state le decisioni adottate dal meeting Opec di Vienna.
L’organizzazione dei paesi produttori di petrolio ha rotto gli indugi pur presenti nei mesi scorsi ed è passata ai fatti annunciando una riduzione della produzione petrolifera con l’obiettivo di tenere sotto controllo l’offerta in modo tale da dare sostegno ai prezzi. Nel corso della riunione di ieri l’OPEC ha anche chiesto a due suoi paesi membri, l’Iraq e la Nigeria di tagliare la loro produzione per prevenire un possibile eccesso nell’offerta di greggio sul mercato globale. I due paesi hanno risposto positivamente alla richiesta dell’organizzazione che li vede membri. In particolare l’Iraq ha accettato di ridurre la produzione di 175.000 barili al giorno entro il prossimo mese di ottobre mentre la Nigeria si è detta disponibile a tagliare 57.000 di barili al giorno.
Insomma, al termime della riunione dell’Opec di ieri, è emersa una piena collaborazione tra i vari paesi membri e l’impegno di tutti a tagliare la produzione per gestire meglio il livello di prezzo del greggio. Rispetto ai tagli sui livelli produttivi che erano stati decisi in passato, ieri c’è stata un’importante novità. Per la prima volta, infatti, l’Opec ha provato a delineare uno schema razionale sulla questione. La parola d’ordine tra i paesi produttori è agire con logica evitando fughe in avanti e provvedimenti fini a se stessi. Fondamentalmente l’Opec sta provando a dare organicità alle sue decisioni.
La scelta dell’organizzazione è quasi obbligata soprattutto per tenere a bada l’intraprendenza degli americani. Grazie alle politiche esplorative di Trump e alla produzione massiccia di shale oil, infatti, gli Stati Uniti sono oggi il primo paese esportatore di petrolio. Fino a ieri questo primato era in mano all’Arabia Saudita ma ora i sauditi sono stati scalzati dai più dinamici americani.
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