Alcune monete con il simbolo di Tether su delle banconote sparpagliate
Tether - BorsaInside.com

Nel mondo delle criptovalute, le stablecoin hanno conquistato un ruolo centrale, diventando strumenti essenziali per scambi, trasferimenti e gestione della liquidità digitale. Tuttavia, secondo un recente studio pubblicato da fonti autorevoli nel settore finanziario, ben il 90% del mercato delle stablecoin (che oggi vale circa 250 miliardi di dollari) è controllato da soli due nomi: Tether (USDT) e USD Coin (USDC). Una concentrazione così elevata solleva interrogativi sempre più pressanti sul futuro di queste criptovalute “stabili” e sulle implicazioni sistemiche che potrebbero derivarne.

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Quando la decentralizzazione viene meno: un paradosso nel cuore della blockchain

La decentralizzazione è sempre stata una delle pietre miliari dell’ecosistema cripto. La visione originaria di Bitcoin e delle altre criptovalute era quella di creare un sistema privo di autorità centrali, dove nessuna entità singola potesse controllare il flusso di denaro o l’accesso ai fondi. Proprio per questo, ogni forma di concentrazione rappresenta un campanello d’allarme per molti osservatori del settore.

Nel tempo, però, anche Bitcoin ha visto la sua distribuzione diventare meno equa, con grandi fondi e aziende che ora detengono enormi quantità di monete. Il mercato delle stablecoin sembra seguire la stessa traiettoria: USDT ha superato i 164 miliardi di dollari di capitalizzazione, mentre USDC si attesta sui 64 miliardi. Per confronto, la terza stablecoin più capitalizzata, DAI, è ferma a circa 5,4 miliardi. Un quadro che somiglia molto a un duopolio, se non a un quasi-monopolio.

Il vero rischio: fidarsi della parola “stable”

Molti utenti sono portati a pensare che una stablecoin sia intrinsecamente sicura solo perché “deve valere sempre 1 dollaro”. Ma nella pratica, mantenere quel valore non è garantito. Le stablecoin devono infatti essere supportate da riserve in contanti o asset equivalenti, così da permettere in ogni momento la conversione 1:1 con il dollaro. Tuttavia, basta un’anomalia o una crisi bancaria per far crollare questa fiducia.

Nel 2023, durante la crisi delle banche regionali americane, USDC ha perso temporaneamente il peg con il dollaro, dopo che si è scoperto che 3,3 miliardi di dollari delle sue riserve erano bloccati nella Silicon Valley Bank, poi fallita. Anche Tether ha avuto episodi simili in passato. E non si può dimenticare il tracollo di TerraUSD (UST) nel 2022: una stablecoin algoritmica che, una volta perso il legame col dollaro, ha causato un crollo da 45 miliardi di dollari, affondando l’intero mercato crypto.

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Un effetto domino pericoloso: la corsa al rimborso

Immaginate un classico “bank run”, ma applicato al mondo digitale. Gli utenti iniziano a dubitare della solidità di una stablecoin e corrono a ritirare i fondi. Se il fornitore non ha abbastanza liquidità immediata, il sistema crolla. Questo scenario non è solo ipotetico: gli economisti di Yale, già prima del caso Terra, avevano lanciato l’allarme sulla possibilità che una crisi delle stablecoin potesse innescare un effetto domino su larga scala, con gravi ripercussioni sull’intero sistema finanziario.

La risposta normativa: arriva il Genius Act

Proprio per evitare una nuova crisi, negli Stati Uniti è in discussione il Genius Act, una proposta di legge pensata per regolare il settore delle stablecoin. Tra i punti chiave:

  • Obbligo di copertura 1:1 con contanti o strumenti altamente liquidi
  • Divieto di stablecoin algoritmiche
  • Audit mensili obbligatori per verificare la presenza effettiva delle riserve

Ma il Genius Act ha anche un altro obiettivo: aprire il mercato a nuovi attori. Società fintech, aziende tecnologiche e persino retailer stanno valutando l’ipotesi di emettere proprie stablecoin. Questo potrebbe aumentare la competizione, ridurre la concentrazione e migliorare la resilienza complessiva del settore.

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