Quanto costa investire in fondi?

Il rendimento dei propri impieghi nei fondi comuni di investimento risente in maniera spesso significativa dell’aspetto commissionale e, più in generale, dei costi che l’investitore deve sopportare per il mantenimento di tali posizioni. Ma quali sono i costi associati all’investimento in un fondo comune aperto? La questione costi è da tempo molto dibattuta. Sia la Banca d’Italia che la Consob hanno trattato l’argomento in due studi distinti: Il costo totale dell’investimento in fondi comuni (Banca d’Italia, settembre 2017) e Il costo dei fondi comuni in Italia (Consob, gennaio 2018). Queste due fonti sono alla base di tutti gli altri studi. Dal punto di vista dell’investitore queste due fondi sono i punti di riferimento per dare una risposta alla domanda: quanto cosat investire in fondi oggi. 

Costi diretti e indiretti

Due sono le categorie di costi che l’investitore deve sostenere. Il primo è legato al costo indiretto, ovvero il costo che viene sostenuto in maniera indiretta dai sottoscrittori, e che viene decurtato quotidianamente dal valore delle quote dei fondi: si pensi alle commissioni di gestione e alle commissioni di incentivo, o ancora alla remunerazione della banca depositaria e altri oneri residuali.Nel loro insieme tali oneri sono ribattezzati Total Expense Ratio (TER). 

Il secondo è legato al costo diretto, ovvero il costo che viene sostenuto dall’investitore in modo – appunto – diretto, e che include le commissioni di ingresso che vengono pagate al momento della sottoscrizione delle quote, e le commissioni di uscita al momento del riscatto. In via di massima, le commissioni di ingresso decrescono con l’aumentare dell’entità dell’investimento, mentre le commissioni di uscita diminuiscono in funzione del periodo di permanenza del fondo.

Total shareholder cost

Di qui, possiamo giungere alla definizione del Total shareholder cost (TSC), ovvero il costo complessivo dell’investimento, dato dalla somma dei due costi di cui sopra quindi costo diretto più costo indiretto. 

Secondo alcune recenti analisi della Banca d’Italia, negli ultimi 10 anni il valore medio del TSC è pari all’1,58% del patrimonio complessivo dei fondi, con un trend di graduale crescita, considerato che il peso delle commissioni di sottoscrizione e di rimborso è cresciuto in modo significativo, ma le commissioni di gestione non sono calate in misura controbilanciante.

Probabilmente, un simile scenario è stato favorito dalla modifica delle composizione delle masse gestite, che ha visto una riduzione del peso dei fondi obbligazionari e monetari (che generalmente hanno commissioni di gestione inferiori), contro un incremento del peso dei fondi flessibili. Si sono inoltre diffusi in maniera crescente i fondi a scadenza predefinita, contraddistinti da una struttura delle commissioni in cui gli oneri di rimborso sono particolarmente elevati nel caso di vendita delle quote prima della scadenza.

Considerato che nell’orizzonte in questione il rendimento medio annuo è stato pari al 3,5%, ne deriva che sottraendo i costi diretti e indiretti che sono sostenuti dagli investitori, il rendimento si riduce al 2%. Di queste commissioni, si noti come il 70% delle commissioni vengono percepite dalla SGR.

In generale le due componenti del TSC ossia le commissioni che gravano sul fondo e le commissioni direttamente pagate dall’investitore sono molto variabili a seconda della tipologia di fondo. Come regole più generale vale la seguente: le commissioni a carico dell’investitore sono più marcate nei fondi bilanciati, obbligazionari e flessibili mentre nei fondi azionari e di liquidità le commissioni a carico dell’investitore hanno un peso inferiore. 

Rispetto all’Europa, il costo dei fondi di diritto italiano non è difforme dalla media europea. I dati sono allineati ma solo se si prendono in considerazione unicamente le classi retail. Tra i fondi comunitari, e soprattutto tra quelli lussemburghesi, il peso delle classi rivolte agli investitori istituzionali che comportano minori costi, è più elevato. 

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