Governo Draghi: meno Irpef ma aumentano le tasse sulla casa, Imu e affitti diventano più cari

Della necessità di ridurre la pressione fiscale intervenendo sull’Irpef si è parlato molto spesso negli ultimi mesi. In realtà se ne parlava molto in particolare durante il primo governo Conte, con la Lega che spingeva per l’introduzione della nota Flat Tax, progetto poi mai realizzato per via della decisione di Matteo Salvini di provocare la famosa crisi di governo d’agosto.

Una riduzione dell’Irpef però era anche nei progetti del secondo governo presieduto da Giuseppe Conte, e pare che lo sarà anche in quelli del nascente governo Draghi, che però stando alle recenti indiscrezioni potrebbe ridurre da una parte l’Irpef aumentando dall’altra le imposte che gravano sugli immobili, causando tra le altre cose un aumento del canone di affitto per milioni di Italiani.

In estrema sintesi possiamo dire che la sensazione è che il governo di Mario Draghi, nella squadra del quale pare sia confermato il nome di Carlo Cottarelli, andrà verso un aumento degli stipendi di molti cittadini, che poi spenderanno quei soldi per pagare tasse più alte sulla casa. Risultato? Siamo punto e a capo. Anzi potrebbe essere peggio di prima visto che il lavoro scarseggia e con esso i relativi stipendi.

Il governo Draghi verso un abbassamento dell’Irpef

Mario Draghi non ha ancora detto molto su quale sarà la linea del suo esecutivo, ma qualcosa l’ha detta invece Carlo Cottarelli in qualità di direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici durante un’audizione che si è tenuta presso le commissioni finanze di Camera e Senato.

Cambia il governo ma non cambia il mantra che viene ripetuto ancora e ancora: ridurre l’evasione fiscale, che avrebbe anche senso se si andassero a colpire davvero i grandi evasori, a cominciare dagli evasori ‘a norma di legge’ come i big dell’e-commerce per fare giusto un esempio.

Ma niente da fare, si continua a dare la caccia al commerciante criminale che omette l’emissione di uno scontrino da quattro spiccioli, come se fosse davvero quello uno dei più grandi problemi che affliggono l’economia del Bel Paese.

Secondo le stime della Commissione Giovannini, a causa dell’evasione fiscale nel suo insieme mancherebbero all’appello qualcosa come 108 miliardi di euro, mentre secondo Carlo Cottarelli si tratta di una sottostima, mentre la cifra più realistica si aggirerebbe tra i 125 ed i 130 miliardi di euro.

Nel corso del suo intervento Cottarelli ha anche spiegato che “la discussione sulla riforma di una delle principali imposte, l’Irpef, potrebbe aver più facilmente luogo nel contesto di una discussione sulla riforma complessiva del sistema tributario. Non fosse altre che possibili spostamenti di gettito potrebbero essere raccomandabili e utili tra diverse forme di imposizioni”.

Il che tradotto vuol dire che per trovare i fondi necessari ad un taglio dell’Irpef si dovrebbero andare ad aggredire le eredità e gli immobili. Quindi la formula che il prossimo governo potrebbe ‘proporci’ sarebbe quella di meno Irpef ma più Imu.

In che modo il governo Draghi tasserà gli immobili

Ancora non vi sono certezze in merito a quali scelte opererà il nuovo esecutivo, ma quella indicata da Carlo Cottarelli potrebbe essere la strada che Mario Draghi deciderà di imboccare, e prevede una riduzione dell’Irpef a fronte di un aumento della tassazione sugli immobili a cominciare appunto dall’Imu.

Cottarelli ha infatti spiegato a tal proposito che “riguardo alla tassazione da rendimenti immobiliari, l’attuale sistema presenta alcune anomalie che si potrebbero correggere. La principale è che la cedolare secca dei redditi da investimenti immobiliari hanno una tassazione addirittura inferiore alla prima aliquota nominale dell’Irpef”.

Sarebbe questo il punto di partenza del ragionamento di Cottarelli, e sarebbe per questo che si ritiene possa essere una buona idea andare ad aggredire direttamente la proprietà immobiliare attraverso una maggiorazione dell’Imu o di un’altra tassa diretta.

Ma in che modo? Cottarelli propone di equiparare “l’aliquota della cedolare secca per gli affitti di immobili abitativi a canone libero a quella prevista per la tassazione delle rendite finanziarie, quindi dal 21% al 26%. Si potrebbe anche equiparare la cedolare secca per gli affitti di immobili abitativi a canone concordato a quella prevista per la tassazione dei titoli di Stato portandola dall’attuale 10% al 12,5%”.

Col governo Draghi aumenteranno gli affitti a uso abitativo?

Stando a quanto fin qui illustrato sembrerebbe proprio che il rischio sia quello, o quantomeno stando alle parole di Carlo Cottarelli, il cui nome appare sempre più vicino al nuovo esecutivo, questa potrebbe essere la strada che il governo guidato dall’ex presidente della Bce deciderà di imboccare.

Tuttavia non si tratta esattamente di una proposta nuova, visto che qualcosa di simile era stato proposto anche dal secondo governo Conte a fine 2019, ma non fu accolta da particolare entusiasmo, ed in particolare si attirò le critiche di Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, il quale prese una posizione netta.

“La cedolare secca sugli affitti calmierati è una misura sociale, condivisa da forze politiche, sindacati inquilini, operatori ed esperti del settore immobiliare. In questo sei anni di applicazione ha garantito un’offerta abitativa estesa, favorendo la mobilità di lavoratori e studenti sul territorio” ha spiegato Spaziani Testa.

“Inoltre, come rileva la nota di aggiornamento al Def, la cedolare ha determinato una riduzione senza precedenti dell’evasione fiscale nelle locazioni. Insomma c’è una misura che funziona, apprezzata unanimamente, ad alto impatto sociale: il governo vuole davvero modificarla in peggio. La cedolare al 10% esiste da 6 anni. È stata introdotta nel 2014 da un governo a guida Pd e confermata nel 2017 da un altro esecutivo a guida Pd” ricordava il numero uno di Confedilizia.

Resta da vedere se si troverà a confermare questa opinione un’altra volta ora che una proposta simile potrebbe arrivare da un governo tecnico mascherato da governo politico, che gode dell’appoggio della pressoché totalità del Parlamento.

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