Bonus da 600 euro, l’Inps chiede indietro fino a 1.200 euro ma solo ad alcune categorie. Ecco chi deve pagare

Il bonus da 600 euro per i mesi di marzo e aprile 2020 è stata una delle prime misure a sostegno dei lavoratori in difficoltà che il governo Conte bis ha introdotto con l’arrivo della pandemia da Covid-19 in Italia.

È passato quasi un anno ormai dalla sua approvazione, ed ora l’Inps chiede indietro alcuni dei bonus erogati. Qualcuno si ricorderà dello scandalo seguito alla richiesta per il bonus fatta da alcuni politici, si trattava in particolare di Parlamentari che hanno richiesto il bonus pur non versando in quelle situazioni di difficoltà economica per le quali il bonus era stato pensato.

La legge però così com’era stata strutturata dava la possibilità anche a questi soggetti di richiedere e di ottenere il bonus da 600 euro per i mesi di marzo e aprile 2020, e così hanno fatto.

Contare sul buon senso non era certo possibile in un Paese in cui la classe politica nella stragrande maggioranza dei casi non rappresenta certo un esempio da seguire per i cittadini, ma al di là di queste considerazioni che lasciano il tempo che trovano, ora queste persone si troveranno a dover restituire l’intera somma percepita, che per i due mesi arriva fino a 1.200 euro.

L’Inps chiede indietro 1.200 euro di bonus agli esponenti politici

Per capire cos’è accaduto esattamente è bene vedere prima come funziona il bonus da 600 euro che fu introdotto con il decreto Cura Italia ormai un anno fa. Il governo Conte aveva previsto un aiuto economico per lavoratori con partita Iva e lavoratori autonomi, compresi lavoratori domestici, agricoli, del mondo dello spettacolo e gli stagionali del turismo.

Si trattava di un bonus da 600 euro per ciascuno dei mesi di marzo e aprile 2020 al quale poi si sono andati ad aggiungere altri mesi con i successivi decreti a partire dal decreto Rilancio.

Ma vediamo cosa sta succedendo in questi giorni, con l’INPS che chiede indietro il bonus ad alcuni di coloro che lo hanno percepito, e soprattutto cerchiamo di capire chi è che dovrà restituire il bonus da 600 euro.

Era il mese di agosto 2020 quando scoppiò il caso dei Parlamentari che avevano richiesto e ottenuto l’erogazione del bonus da 600 euro. Si trattava di una lista piuttosto lunga di Parlamentari che hanno pensato bene di richiedere il bonus perché, a quanto pare, la legge prevedeva che anche loro ne avessero diritto.

Lo scandalo, per quanto ormai la classe politica ci abbia abituato a ben peggio di questo, fu battezzato “bonusgate”, e portò l’allora ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, a prendere una decisione drastica, definendo incompatibile il bonus da 600 euro con coloro che hanno un mandato politico.

Bonus Inps 600 euro, chi dovrà restituirlo?

L’indennità prevista con il bonus INPS per lavoratori autonomi e partite Iva è stata quindi dichiarata incompatibile con i gettoni di presenza di coloro che, dal momento che sono stati eletti a rappresentanza dei cittadini, svolgono un mandato istituzionale.

La limitazione, da cui l’obbligo di restituire il bonus, non riguarda però solo i Parlamentari, che di fatto percepiscono indennità di tutto rispetto che permettono loro di navigare in acque più che sicure anche in piena pandemia, bensì anche chi occupa cariche politiche di ben più basso rilievo, come gli eletti nelle giunte comunali, comprese quelle dei Comuni più piccoli.

Questo significa che l’Inps sta chiedendo indietro il bonus da 600 euro non solo ai Parlamentari, che in sostanza possono serenamente farne a meno, ma anche a tutti gli altri: assessori, consiglieri comunali, sindaci, che hanno una attività con partita Iva e come lavoratori autonomi, che stanno ricevendo in queste ore comunicazioni dall’Inps in merito alla richiesta di restituzione del bonus.

L’Istituto chiede infatti che tutti questi soggetti restituiscano il bonus da 600 euro per i mesi di marzo e aprile 2020, e quindi dovranno sborsare 1.200 euro. Una richiesta che chiaramente per queste persone che di gettone di presenza percepiscono pochi spiccioli è palesemente iniqua.

“La richiesta è fatta sulla base di un assurdo parere del Ministero del Lavoro che equipara indennità di funzione e gettone di presenza e non distingue le diverse situazioni, concludendo per la incompatibilità del bonus da parte di tutti coloro che hanno un ‘mandato politico'” spiega Marco Bussone, presidente nazionale dell’Uncem, Unione dei Comuni e delle Comunità montane.

Una semplificazione che in effetti mal si sposa con il tentativo di riparare all’insensata assegnazione del bonus ai Parlamentari. “Si può comprendere per Parlamentari, Consiglieri e Assessori regionali” continua Bussone “ma il parere è assurdo per Assessori comunali e sindaci, oltre che per i Consiglieri comunali che in genere percepiscono gettoni di presenza di poche decine di euro lordi. E in tanti casi, in molti piccoli Comuni non percepiscono rimborsi o gettoni”.

Consiglieri e sindaci non dovranno restituire il bonus, l’iniziativa dell’Uncem

L’Uncem ha quindi preso una iniziativa per far sì che i consiglieri comunali, gli assessori e i sindaci, che appunto percepiscono dei gettoni di presenza del tutto modesti, non siano tenuti alla restituzione del bonus Inps da 600 euro per i mesi di marzo e aprile 2020.

Alcuni deputati quindi, su sollecitazione dell’Uncem appunto, hanno deciso di mobilitarsi per chiedere al ministero del Lavoro di eliminare le richieste di restituzione del bonus per coloro che hanno un mandato istituzionale, amministrativo a livello comunale. L’Uncem ha poi fatto sapere che “i consiglieri comunali e i Sindaci non devono restituire alcunché all’Inps”.

A prendere posizione sulla questione della restituzione all’Inps del bonus da 600 euro per autonomi e partite Iva è stata anche la Lega, per voce del suo deputato Daniele Belotti, il quale ha definito sconcertante la richiesta pervenuta dall’Inps e diretta ai consiglieri comunali, agli assessori e ai sindaci con cui si richiedono indietro 1.200 euro di bonus percepiti ormai un anno fa.

Ed è lo stesso deputato leghista a far sapere di aver già “presentato un ordine del giorno al decreto Milleproroghe, con la speranza che possa essere recepito direttamente nel testo del decreto del neoministro del Lavoro Orlando, per rettificare questa palese stortura verso le migliaia di amministratori comunali dei piccoli Comuni, in particolare quelli delle realtà al di sotto dei 100 mila abitanti”.

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