Via il parametro del tetto Isee, arriva il quoziente familiare. Ecco come funziona e a chi conviene

Il nuovo esecutivo si trova a dover prendere diverse decisioni in materia fiscale, alcune delle quali andranno poi a modificare i parametri per l’accesso delle famiglie a tutta una serie di aiuti economici.

Queste modifiche dovranno essere effettuate già prima della Legge di Bilancio 2023, perché andranno poi a determinare i meccanismi per il calcolo dei contributi alle famiglie e della relativa situazione economica.

Il governo guidato da Giorgia Meloni ha già fatto sapere di aver intenzione di introdurre un “quoziente familiare” per rivoluzionare l’Irpef, e questo ridurrebbe il peso dell’Isee nel determinare l’accesso ai vari contributi previsti per le famiglie, a cominciare proprio dall’assegno familiare unico.

Cos’è e come funziona il quoziente familiare

Se il governo deciderà alla fine di adottare il parametro del quoziente familiare, ci saranno diverse novità per le famiglie italiane.

Il nuovo meccanismo si basa in sostanza sul rapporto tra la somma dei redditi dei coniugi, divisa per i componenti del nucleo familiare. Al momento non sono stati forniti però degli schemi che riguardano il sistema di calcolo del quoziente familiare, né alcuni dettagli fondamentali sul provvedimento.

E tuttavia il parametro del quoziente familiare è stato già introdotto, con il decreto Aiuti quater, per calcolare il limite di reddito per l’accesso al Superbonus per le abitazioni unifamiliari.

Per avere una sorta di ufficializzazione del quoziente familiare come parametro di riferimento per gli aiuti economici da destinare alle famiglie con reddito basso si dovrà attendere però almeno il 2024.

Quoziente familiare e assegno unico, cosa cambia

A sottolineare la necessità di utilizzare nuovi parametri per determinare la platea dei beneficiari dell’assegno unico in particolare, ma anche di altre misure, passate e future, è stata anche il ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Eugenia Maria Rocella, che ha riferito che “circa un milione di potenziali beneficiari ha scelto di rinunciare all’assegno”.

Per quanto riguarda l’assegno unico infatti, attualmente questo contributo ingloba diverse agevolazioni come il bonus nascita, l’assegno di natalità, l’assegno temporaneo e l’assegno per famiglie numerose (con almeno tre figli).

Per beneficiare dell’assegno unico universale è necessaria la presenza di figli minorenni a carico, dal settimo mese di gravidanza ai 21 anni se studenti o senza lavoro, e/o figli disabili senza limiti di età.

Il contributo, una volta presentata e accettata la domanda, viene erogato direttamente dall’Inps con accredito diretto sul conto corrente del beneficiario, e fino ad oggi la platea è sempre stata definita sulla base dell’Isee.

A chi conviene il passaggio dal tetto Isee al quoziente familiare?

Sulla base di una prima analisi sembrerebbe che l’introduzione del quoziente familiare come parametro per l’assegnazione dei contributi alle famiglie vada a vantaggio delle coppie con figli ed ai nuclei familiari più numerosi.

Il meccanismo però potrebbe anche determinare degli svantaggi per altre categorie, cosa su cui è necessario svolgere analisi approfondite. In particolare il rischio che ciò accada sarebbe più elevato se dovesse essere introdotto a gettito invariato, e per il mondo del lavoro femminile, nel qual caso potrebbe finire per rappresentare un disincentivo al lavoro per le donne.

Infatti la misura prevede un’aliquota marginale media per entrambi i coniugi, a metà tra quella del contribuente più ricco e quello più povero.

Per semplificare il meccanismo per come esso si presenta oggi, in caso di beneficiari single il “coefficiente” sarebbe pari a 1, in caso di coppie con figli sarà pari a 2, mentre con un familiare a carico sarà di 2,5, arrivando a 3 con due familiari a carico, e a 4 con tre o più familiari a carico.

Se vogliamo provare a fare un esempio pratico, per capire meglio come funziona il quoziente familiare nell’assegnazione di aiuti alle famiglie, prendiamo la situazione di un contribuente con reddito di 60 mila euro con coniuge che non ha entrate.

In questo caso il “reddito di riferimento” sarà di 15 mila euro se nel nucleo familiare ci sono almeno tre figli a carico. Se invece i figli a carico sono solo due la somma sale fino a 20 mila euro, e arriverebbe a 24 mila se il figlio a carico è solo uno.

Se prendiamo invece il cittadino non coniugato il valore di riferimento sarà pari a 1, cioè corrisponderà al totale dei redditi dichiarati. Mentre se prendiamo l’esempio di una coppia in cui l’uomo dichiara un reddito di 50 mila euro e la donna di 15 mila, ciascuno dei due sarà tenuto al pagamento dell’Irpef come se lo stipendio percepito fosse di 25 mila euro.

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