In una nota diffusa qualche giorno fa gli analisti di Barclays hanno comunicato che i prezzi del petrolio si ridurranno nei prossimi sei mesi, considerato che l’Arabia Saudita e i suoi alleati incrementeranno le proprie forniture al mercato.

In particolare, l’istituto bancario ha affermato come le prospettive rialziste che sono invece interpretate da alcuni altri istituti poggiano “su un terreno instabile” e che il mercato sta sottovalutando la capacità dei sauditi di gestire l’intero mercato globale. L’Arabia Saudita – insieme alla Russia, al Kuwait e agli Emirati Arabi Uniti – ha promesso di soddisfare la domanda globale di petrolio anche nel contesto in cui le sanzioni statunitensi continueranno a incidere pesantemente sulle esportazioni iraniane e in uno scenario in cui la produzione venezuelana continuerà a diminuire.

Ricordiamo che questo mese il greggio Brent è scambiato mediatamente tra 77 e 80 dollari al barile, e che Barclays ritiene come il barile posa raggiungere una media di 73 dollari nella seconda metà del 2018. Una visione evidentemente opposta a quella formulata da Morgan Stanley, che ha invece recentemente alzato la sua prospettiva a sei mesi sul Brent a 85 dollari al barile dopo che l’amministrazione Trump ha assunto una posizione più aggressiva sul taglio delle esportazioni di petrolio dell’Iran. Goldman Sachs ha avvertito il mese scorso che i prezzi potrebbero superare gli 82 dollari entro l’estate.

In tale ambito, rammentiamo altresì come l’OPEC, la Russia e diversi altri produttori abbiano recentemente concordato di aumentare la produzione di 1 milione di barili al fine di ridurre i prezzi del petrolio dai massimi da 3 anni e mezzo a questa parte. Tuttavia, molti analisti pensano che le parti in causa faranno fatica ad aggiungere quell’offerta desiderata, poiché solo una manciata di Paesi ha reali capacità inutilizzate.

Barclays sembra però convinta del contrario, con i propri analisti che hanno affermato come il mercato stia in realtà sottovalutando la capacità inutilizzata che l’Arabia Saudita, la Russia, il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti possono sfruttare. Una recente stima della US Energy Information Administration ha infatti previsto la disponibilità di 1,5 milioni di barili al giorno di capacità inutilizzata.

Coloro che desiderano assumere posizioni rialziste sul petrolio tendono poi ad ipotizzare che l’Arabia Saudita e la Russia stiano cercando di guidare i prezzi del greggio a 80 dollari al barile, per una visione che è stata alimentata da diverse notizie all’inizio di quest’anno. Tuttavia, Barclays ha dichiarato come le recenti richieste via Twitter del presidente Donald Trump per l’OPEC di ridurre i prezzi della benzina avranno effetto sui sauditi, che godono di legami amichevoli con la sua amministrazione.

“Anche i sauditi non vogliono deludere i politici statunitensi né perdere la loro credibilità”, ha scritto Michael Cohen, responsabile della ricerca sui mercati energetici di Barclays. “Dal nostro punto di vista, Trump ha chiarito nei suoi tweet che non è soddisfatto dei prezzi del petrolio più elevati”. Insomma, l’Arabia Saudita probabilmente inizierà a esportare più petrolio negli Stati Uniti, con un comportamento che finirebbe con il riempire le scorte americane e smorzare i timori di un’offerta insufficiente.

Barclays ha infine aggiunto che l’amministrazione Trump potrebbe dare a Cina e India più tempo per ridurre i loro acquisti di petrolio iraniano. Il Dipartimento di Stato ha recentemente affermato che sta spingendo gli acquirenti di petrolio a ridurre questi acquisti a quota zero, ma l’amministrazione USA potrebbe frenare quella richiesta se i prezzi della benzina saliranno prima delle elezioni di metà mandato, a novembre.

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