Negli ultimi giorni ci siano occupati in diverse occasioni di quanto sta accadendo nel settore bancario, ricordando sia quali siano le banche più esposte al rischio fallimento, sia come capire se la tua banca è solida.
Ebbene, in questo contesto rileviamo la nota appena pubblicata a cura di Stephon Jackson, Director of Associate Analyst Programs, di T. Rowe Price, che ricorda quando diversi analisti stanno sottolineando da diverso tempo: le difficoltà del settore bancario non sono equivalenti a quelle del 2008.
Perché le banche americane sono andate in crisi
L’esperto ricorda innanzitutto come i recenti fallimenti di Silicon Valley Bank (SVB) e di Signature Bank negli USA abbiano cause diverse rispetto a quelle che hanno condotto ai crolli del sistema bancario durante la crisi finanziaria globale del 2008-2009.
Di fatti, la maggior parte dei fallimenti bancari è determinata dalla presenza di problemi significativi nel portafoglio prestiti di una banca o da una crisi di liquidità innescata e peggiorata dalla corsa agli sportelli. Durante la crisi finanziaria globale – ricorda ancora la nota – i gravi problemi nel portafoglio prestiti delle banche, e in particolare per quanto riguarda la qualità creditizia dei prestiti immobiliari, determinarono un’ondata di fallimenti bancari.
Di contro, i recenti default di SVB e Signature Bank negli USA sono causati da una grave crisi di liquidità che si è innescata nel momento in cui i depositanti si sono affrettati a ritirare i loro fondi. In particolare, gli investimenti nel bilancio di SVB per i titoli fixed income a lungo termine hanno perso valore in seguito ai rialzi dei tassi della Federal Reserve, aggravando così i già significativi problemi della banca.
Insomma, le banche che oggi sono fallite non vivevano già di ottime condizioni di salute e hanno avuto un ulteriore deterioramento delle proprie basi fondamentali quando la Fed ha inasprito la sua politica monetaria creando un contesto in cui gli investitori potrebbero ridurre i loro depositi bancari.
I rapidi aumenti dei tassi e la stretta quantitativa della Fed hanno di fatto aumentato i rendimenti disponibili sugli strumenti di investimento a breve termine, come le obbligazioni, incentivando gli investitori a prelevare i depositi bancari.
Perché Credit Suisse è entrata in crisi
Le cose sono ancora diverse per Credit Suisse. Come abbiamo già rammentato negli ultimi giorni, infatti, le pressioni sul prezzo delle azioni della banca svizzera nono sono direttamente collegate ai fallimenti bancari negli Stati Uniti che, evidentemente, hanno però contribuito a generare un po’ di scoramento nel sistema bancario globale.
Piuttosto, la mancanza di fiducia in Credit Suisse è determinata da carenze nella contabilità finanziaria che potrebbero innescare problemi di liquidità. Insomma, è solamente la tempistica coincidente ad aver dato l’immagine di un sistema bancario internazionale in difficoltà, mentre non ci sono relazioni di causa – effetto tra la crisi di SVB e quella di Credit Suisse.
L’esperto rassicura: non ci sono segnali di contagio
Rammentato quanto sopra, l’esperto rassicura sostenendo che non ci sono segnali di contagio dei recenti fallimenti bancari sui fondi comuni del mercato monetario, ritenendo dunque che la Fed sarà in grado di controllare ancora l’inflazione tramite rialzi dei tassi, nonostante i recenti fallimenti bancari.
In aggiunta a ciò, il nuovo programma di finanziamento a termine della Banca Centrale (BTFP), che permette agli istituti di credito di prendere in prestito dalla Fed – fornendo come garanzia i Treasury o altri titoli di debito pubblico, dovrebbe consentire alle banche di soddisfare il proprio fabbisogno di liquidità nel breve termine.
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