
La fine dell’era Alberto Nagel apre un capitolo decisivo per il futuro di Mediobanca. Dopo 22 anni alla guida, lo storico amministratore delegato lascerà il posto a un successore che dovrà affrontare una fase delicatissima: l’istituto di Piazzetta Cuccia è infatti passato sotto il controllo di Monte dei Paschi di Siena (Mps), che grazie all’opas ha conquistato l’86,3% del capitale, escludendo le minoranze dal nuovo consiglio. L’assemblea del 28 ottobre sarà il punto di svolta, ma già oggi i riflettori sono puntati sulla scelta del nuovo vertice.
I nomi sul tavolo per la guida di Mediobanca
Il comitato nomine di Mps, supportato dagli head hunter di Korn Ferry, presenterà entro il 3 ottobre la lista ufficiale dei candidati. Secondo le prime indiscrezioni, la rosa include figure di alto profilo del panorama bancario internazionale:
- Riccardo Mulone (Ubs Italia)
- Francesco Pascuzzi (Goldman Sachs Italia)
- Giorgio Cocini (Pimco Italia)
- Mauro Micillo (Imi)
Quattro nomi che testimoniano l’ambizione di Mps di rafforzare la propria leadership, ma che allo stesso tempo evidenziano le difficoltà di convincere manager già affermati a lasciare posizioni stabili per una sfida complessa, con incognite legate sia alla governance sia ai pacchetti retributivi.
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Il nodo cruciale: stipendi e bonus differiti
Il tema della remunerazione resta centrale. Per il nuovo amministratore delegato si ipotizza un compenso intorno ai 2 milioni di euro l’anno tra parte fissa e variabile, in linea con i benchmark del settore. Tuttavia, il vero ostacolo riguarda i bonus differiti.
Chi proviene da realtà come Goldman Sachs o Pimco dispone di stock option e azioni maturate negli anni che, normalmente, vengono compensate dal nuovo datore di lavoro con strumenti equivalenti. Nel caso di Mediobanca, però, lo scenario è complicato: l’istituto non sarà più quotato nei prossimi mesi e Mps non sembra disposta a liquidare i bonus in contanti. Una situazione che rischia di tagliare fuori candidati di primo livello.
Il ruolo della presidenza e il peso di Delfin
Accanto al tema del CEO, resta aperta la partita della presidenza. Qui entra in scena Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, che detiene il 19,9% di Mediobanca e avrà un peso importante anche in Mps con circa il 16%.
Il nome più forte in questa direzione è quello di Vittorio Grilli, ex ministro del Tesoro, oggi in Jp Morgan e già consulente di Delfin. Il suo profilo rappresenterebbe una garanzia di autorevolezza, ma anche in questo caso pesano i bonus differiti americani, che rendono complesso un eventuale trasferimento.
Governance e scenari futuri
Lo scenario resta frammentato. L’amministratore delegato di Mps, Luigi Lovaglio, è chiamato a gestire un equilibrio delicato tra i tre grandi azionisti – Delfin, Caltagirone e il Mef – che non hanno ancora trovato una piena unità strategica.
Parallelamente, la scelta dei vertici dovrà conciliare due esigenze contrapposte: da un lato individuare manager di assoluto rilievo per dare credibilità al nuovo corso, dall’altro non spingersi oltre i limiti di sostenibilità economica.
Infine, il processo di integrazione tra Mediobanca e Mps, con business e culture aziendali molto diverse, richiederà almeno un anno di lavoro tra iter industriali e autorizzazioni regolatorie.
Una partita tutta da giocare
La rosa dei candidati è ristretta e i nomi in circolazione confermano la posta in gioco. Ma l’ultima parola spetterà a un Cda ancora da formare, chiamato a trovare un compromesso tra i grandi azionisti e le esigenze tecniche. La corsa al nuovo CEO di Mediobanca è ufficialmente iniziata, e il risultato definirà non solo il futuro dell’istituto, ma anche i nuovi equilibri della finanza italiana.
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