
Le principali valute asiatiche hanno registrato un nuovo calo mercoledì, penalizzate dal rafforzamento del dollaro statunitense e dai timori legati al protrarsi dello shutdown del governo USA, ormai entrato nella sua seconda settimana. L’incertezza politica americana sta spingendo gli investitori verso asset considerati più sicuri, generando una marcata avversione al rischio sui mercati valutari.
Tra le monete più colpite spicca lo yen giapponese, sceso ai livelli più bassi da otto mesi dopo la vittoria della leader conservatrice Sanae Takaichi alla guida del Partito Liberal Democratico. Il risultato politico ha alimentato l’aspettativa di un ritorno a politiche fiscali espansive e di una linea monetaria più accomodante da parte della Bank of Japan, riducendo la fiducia in un imminente inasprimento dei tassi.
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Il Dollar Index, che misura la forza del biglietto verde rispetto a un paniere di sei valute, è salito dello 0,3% raggiungendo quota 98,9, massimo da circa due mesi. L’impossibilità di trovare un compromesso sul bilancio federale e la prospettiva di uno stallo prolungato hanno spinto molti investitori a rifugiarsi nel dollaro e nei Treasury americani.
Lo shutdown sta oscurando le prospettive economiche degli Stati Uniti, poiché la sospensione dei servizi governativi rallenta la pubblicazione dei principali indicatori macroeconomici. Questo clima di incertezza rende ancora più attesi i verbali dell’ultima riunione della Federal Reserve e il prossimo intervento del presidente Jerome Powell, che potrebbero fornire indizi sul futuro della politica monetaria americana.
In Asia, la pressione si è fatta sentire su quasi tutte le divise. Il dollaro di Singapore (USD/SGD) è salito dello 0,2%, mentre il won sudcoreano (USD/KRW) ha guadagnato lo 0,3%. La rupia indiana (USD/INR) ha mostrato un lieve rialzo, mentre la coppia offshore dello yuan cinese (USD/CNH) è rimasta sostanzialmente stabile.
Particolarmente debole lo yen giapponese, con la coppia USD/JPY in rialzo dello 0,5% a 152,6 yen, ai minimi da metà febbraio. Da inizio settimana, la valuta nipponica ha perso circa il 3,5%, segno della crescente sfiducia degli operatori. Secondo gli analisti di MUFG, il mercato ha ormai escluso la possibilità di un aumento dei tassi della Bank of Japan entro la fine dell’anno, e stima la prossima stretta non prima di marzo 2026.
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A pesare ulteriormente sullo yen sono stati anche i dati deboli sui salari pubblicati mercoledì e le dichiarazioni dei consiglieri economici di Takaichi, contrari a un inasprimento monetario nel breve termine. L’insieme di questi fattori sta limitando ogni prospettiva di rimbalzo della valuta nel medio periodo, mentre i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi salgono in previsione di una maggiore spesa pubblica.
Debole anche il dollaro neozelandese (NZD/USD), sceso di quasi l’1% a 0,57 dollari, toccando il minimo degli ultimi sei mesi. Il ribasso è arrivato dopo la decisione della Reserve Bank of New Zealand di tagliare il tasso ufficiale di riferimento di 50 punti base, portandolo al 2,50%. Il mercato si attendeva un taglio più contenuto da 25 punti. L’istituto centrale ha motivato la scelta con la necessità di sostenere la crescita economica e ha lasciato intendere che ulteriori allentamenti potrebbero essere presi in considerazione nei prossimi mesi.
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