Bitcoin sprofonda ai minimi da novembre: le cause del crollo

A cura di Matteo Oddi –Durante il fine settimana il prezzo del bitcoin ha aggiornato i minimi del 2018 a quota 5.825 dollari, livello che non toccava dal 13 novembre, secondo i dati del portale Coinmarketcap.

Al momento della scrittura il bitcoin viene scambiato nuovamente al di sopra della soglia psicologica dei 6.000 dollari, dopo aver esteso di fatto le perdite registrate nei giorni precedenti.

Si è arrivati quindi a un -70% dal massimo storico di 20.000 dollari registrato a dicembre.

Ma quali scenari dipingono gli analisti alla luce di questa correzione? Per Todd Gordon di tradinganalysis.com, intervistato dalla Cnbc, la principale criptovaluta dovrà prima raggiungere i 4.000 dollari, prima di effettuare un rimbalzo fino a 10.000 dollari entro il la fine del 2018.

Brian Kelly, ceo della investment firm BKCM LLC, è convinto invece che il prezzo del BTC abbia già trovato il suo fondo e che un’inversione di tendenza sia in dirittura d’arrivo.

Anatoliy Knyazev, co-fondatore di Exante, sottolinea alcune peculiarità: “Bisogna ricordare che il mercato delle criptovalute conta un numero di investitori retail superiore a quello di qualsiasi altro mercato. Il sentiment, ovvero la sfera emotiva, gioca un ruolo fondamentale”. E ovviamente queste condizioni di partenza si amplificano nel fine settimana, quando trader professionisti e istituzionali sono fermi.

Alla luce di quanto detto prima, il ribasso in atto sembra essere stato innescato da tre notizie provenienti dal Giappone, che è il paese con il maggior numero di scambi in criptovalute al mondo.

Prima la decisione dell’Agenzia dei Servizi Finanziari (FSA) del Giappone di emettere un ordine nei confronti di sei exchange di criptovalute, che dovranno apportare delle migliorie alle loro piattaforme se vorranno continuare a godere della licenza operativa.

Nel concreto QUOINE, BitFlyer, Bit Bank, BTC Box Corporation, Bit Point, e Tech Bureau dovranno dimostrare di avere approntato un sistema di audit interno e di protezione dei clienti all’altezza degli standard richiesti dalle autorità.

Poi c’è la stretta regolamentativa che si allarga inoltre a tutti gli exchange nipponici che listano le cosiddette privacy coin, ovvero le criptovalute con una forte impronta alla difesa dall’anonimato e della mancanza di tracciabilità, qualità che le hanno rese invise alla FSA.

E infine c’è l’affare Mt. Gox, l’ex exchange leader mondiale del comparto che nel 2014 ha dichiarato bancarotta. È di venerdì l’annuncio che la procedura fallimentare del sito è diventata una riabilitazione civile: le vendite dei 162 mila bitcoin presenti nei wallet della piattaforma in cambio di yen sono state bloccate e invece da febbraio 2019 i BTC potranno essere distribuiti agli utenti di Mt. Gox.

In realtà diversi osservatori avevano salutato quest’ultima notizia come uno sviluppo positivo per il bitcoin, ma il mercato se ne è ampiamente infischiato. Come fare allora a rimuovere l’inevitabile irrazionalità dall’equazione? Secondo Knyazev si tratta solo di un problema di prospettiva: “Rispetto a un anno fa il bitcoin segna comunque un rialzo di oltre il 130%”.

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