Con la riforma fiscale 2021 per le partite Iva spunta l’ipotesi dell’IRI. È una sorta di flat tax, ecco perché

Nell’ambito della riforma fiscale cui sta lavorando il governo guidato da Mario Draghi è tornata in auge l’ipotesi di introdurre una sorta di Flat Tax. Lo stesso Silvio Berlusconi in una lettera a Il Giornale ha ricordato all’ex presidente della Bce che quello della ‘tassa piatta’ è uno degli obbiettivi per cui Forza Italia appoggia l’attuale esecutivo.

Quella dell’IRI non è una flat tax a tutti gli effetti, ma consiste comunque di un’aliquota unica che si va a sostituire agli scaglioni Irpef, ma non si applica sempre e comunque, bensì nel caso di utili che vengono reinvestiti.

Come funziona l’IRI?

C’è da dire anzitutto che questa soluzione che per certi versi è un’alternativa alla flat tax, sembra mettere d’accordo tutti i partiti che sostengono l’attuale maggioranza.

Sull’ipotesi IRI stanno proseguendo a ritmi serrati i lavori delle Commissioni Finanze di Camera e Senato, alle prese con la riforma fiscale nel suo insieme, lavori che dovrebbero concludersi entro il 30 giugno 2021, con la stesura del documento di indirizzo, la base da cui si parte per redigere la legge delega che dovrebbe essere pronta entro l’estate.

Ma di cosa si tratta esattamente? Non è una novità assoluta, se teniamo conto che l’Imposta sul Reddito delle Imprese era stata dapprima introdotta nel 2017, poi prorogata e infine abolita con la Legge di Bilancio 2019. L’IRI di fatto è un’imposta al 24% che doveva avere lo scopo di tassare in via agevolata quei redditi che vengono reinvestiti e che quindi rimangono in azienda.

Si tratta in un certo senso di una flat tax per via del fatto che questa imposta unica al 24% andrebbe a sostituire le varie aliquote Irpef. Il fine ultimo dovrebbe essere quello di incentivare gli investimenti in proventi e utili aziendali nelle imprese.

Com’era l’Iri e come sarà

Attualmente l’IRI è una delle proposte centrali nell’ambito della riforma fiscale 2021, ma se si tratta di una novità solo in parte, com’era esattamente questa imposta quando fu introdotta nel 2017 e come si presenta invece nell’ipotesi al vaglio dell’attuale maggioranza?

Come accennato, lo scopo era quello di incentivare le imprese a reinvestire gli utili, e l’entrata in vigore della nuova aliquota unica era prevista per il 2017. Poi c’è stata una proroga che faceva slittare l’IRI al 2018, ma in seguito con la Legge di Bilancio 2019 è stata messa da parte.

Il meccanismo dell’IRI tutto sommato non è complesso. L’imposta unica sul reddito imprenditoriale al 24% si applica su base opzionale ai redditi lasciati e reinvestiti in azienda, e in questo modo sostituisce di fatto le aliquote progressive IRPEF.

Se l’IRI entrasse in vigore avremmo imprese e artigiani tassati con un’aliquota unica al 24%, proprio come previsto per le società di capitali che sono soggette al pagamento dell’IRES.

Se l’impresa paga l’IRI, sulla parte degli utili reinvestiti non vengono applicate le aliquote progressive IRPEF che si calcolano sulla base dei redditi aziendali e che vanno dal 23% al 43%. Queste aliquote in tal caso verrebbero applicate solo sulle somme prelevate dal titolare di partita IVA, insomma si applicano non al fatturato dell’impresa ma alla “remunerazione” di chi la conduce.

Perché l’IRI è come una flat tax

Per i titolari di partita IVA l’introduzione dell’IRI rappresenterebbe comunque un passo avanti rispetto all’attuale tassazione. Di fatto offre alle imprese la possibilità di scegliere tra l’attuale sistema degli scaglioni Irpef, e l’imposta unica limitatamente agli utili che vengono reinvestiti in azienda.

L’ipotesi dell’IRI torna al centro del dibattito nell’ambito della riforma fiscale sul tavolo del governo Draghi, con l’intenzione di introdurre una differenziazione in merito alla tassazione del reddito d’impresa prelevato dall’imprenditore o dai soci e di quello che invece rimane in azienda. Inoltre l’IRI permetterebbe di rendere neutrale il prelievo fiscale rispetto alla forma giuridica dell’impresa.

Nella sua forma iniziale l’Iri prevede l’applicazione dell’aliquota al 24% solo nel caso di utili che vengono reinvestiti in azienda. Per la restante parte, vale a dire per la quota che viene prelevata dall’imprenditore, si applicherebbe comunque l’aliquota IRPEF di riferimento secondo le attuali aliquote progressive che vanno dal 23% per redditi fino a 15.000 euro fino al 43% per redditi che superano i 75.000 euro.

Con l’introduzione dell’IRi si prevede di ottenere come risultato una maggiore tendenza alla capitalizzazione per le imprese visto che gli utili non prelevati sarebbero soggetti ad una tassazione più leggera.

Le forze politiche che sostengono l’attuale esecutivo sembrano accogliere tutte con un certo grado di positività l’ipotesi dell’IRI. Inoltre un parere favorevole è stato espresso anche da Bankitalia, così pure dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

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