Al lavoratore non vaccinato che resta sospeso spetta metà stipendio. A stabilirlo un’ordinanza del Tar Lazio

Sappiamo che l’obbligo vaccinale sussiste per tutti i lavoratori dipendenti, tanto del settore pubblico quanto del settore privato che hanno più di 50 anni, inoltre lo stesso obbligo interessa chiunque lavori in ambito sanitario, nonché il personale scolastico, le forze dell’ordine e il personale delle forze armate.

Tuttavia, con l’ordinanza numero 1234/22 depositata il 25 febbraio scorso dalla quinta sezione del Tar Lazio, viene stabilito, per i dipendenti della pubblica amministrazione, che il lavoratore sospeso in quanto non vaccinato avrà comunque diritto a ricevere il 50 per cento della retribuzione prevista dal contratto di lavoro in essere.

Per i lavoratori del settore pubblico che non sono vaccinati quindi il Tar del Lazio dispone con la sua ordinanza che sia corrisposta metà dello stipendio in quanto in ogni caso bisogna “sopperire alle esigenze essenziali di vita” in attesa della trattazione del ricorso nel merito che avverrà a suo tempo con udienza pubblica.

La questione dei valori costituzionali

La notizia è stata riportata da LeggiOggi, dove si spiega che uno degli aspetti chiave è, come facile intuire, la questione dei valori costituzionali. Difficile ignorare il fatto che la Costituzione garantisce il diritto al lavoro, ed è proprio su questo aspetto che ha portato l’attenzione del giudice il dipendente del ministero della Giustizia sospeso in quanto non vaccinato.

Lo stop dal servizio era stato disposto dal dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, ma ora il collegio dei giudici ha disposto che all’interessato sia riconosciuto un assegno alimentare il cui importo sarà del 50 per cento della retribuzione prevista dal contratto di lavoro dipendente.

Si tratta di un’ordinanza che non ha carattere definitivo, ma che sarà seguita da “un approfondimento di merito” sull’obbligo vaccinale. Su LeggiOggi viene specificato che l’approfondimento è necessario in particolare sulla questione del “bilanciamento di valori costituzionali tra la tutela della salute come interesse collettivo e l’assicurazione di un sostegno economico vitale”.

Sappiamo infatti che la sospensione del lavoratore in quanto non vaccinato non ha una caratterizzazione disciplinare, e prevede la privazione integrale del trattamento retributivo.

In questo caso specifico il ricorrente è uno dei dipendenti pubblici che avevano “ottenuto con un provvedimento monocratico del presidente la corresponsione dell’intero stipendio fino alla trattazione collegiale”. E ciò per via del fatto che, come stabilito dal decreto 726/22, “il lavoratore pone una serie di questioni di legittimità costituzionale sull’obbligo vaccinale che meritano di essere approfondite dal collegio”.

Dal momento che la retribuzione del lavoratore è la sua “fonte di sostegno”, non è possibile attendere fino alla camera di Consiglio, ma fino ad allora quanto meno nonostante sia sospeso dal lavoro potrà percepire metà del suo stipendio almeno fino al 6 maggio, data per la quale è stata fissata l’udienza.

Il dipendente pubblico non vaccinato avrà metà stipendio, e il dipendente privato?

Se al lavoratore del settore pubblico che non ha ricevuto il vaccino spetterà, quanto meno fino alla trattazione di merito, almeno metà dello stipendio in quanto “bisogna sopperire alle esigenze essenziali di vita”, al lavoratore del settore privato non vaccinato non spetta alcun sostegno. A stabilirlo è un altro giudice che evidentemente segue una interpretazione diversa della carta costituzionale.

È sempre da LeggiOggi che apprendiamo infatti che l’ordinanza 2467/21 del tribunale civile di Modena stabilisce che è legittimo sospendere il dipendente non vaccinato in quanto la perdita dello stipendio non è di per sé “irreparabile” ma è un danno “risarcibile ex post come tutte le lesioni dei diritti che derivano da rapporto obbligatori”.

Resta da capire in che modo, il lavoratore del settore privato over 50, per il quale vige l’obbligo di vaccino per poter continuare a lavorare e a percepire il proprio stipendio, possa “sopperire alle esigenze essenziali di vita” sue ed eventualmente del suo nucleo familiare.

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