Islanda, dieci anni dopo la crisi… c’è un’altra crisi?

L’Islanda celebra un decennio di ripresa dal suo storico crollo finanziario ed economico, ma il rischio – sottolineano alcuni analisti – è che le celebrazioni siano funestate da una nuova crisi che l’isola dell’Atlantico settentrionale potrebbe presto essere in grado di affrontare se non riuscirà a reagire dinanzi a sfide particolarmente provanti.

Un approfondimento condotto da Bloomberg su un pericolo finanziario europeo di cui pochi parlano, rammenta come il turismo e l’afflusso di denaro straniero siano stati fondamentali per poter permettere a questa piccola nazione di 340.000 abitanti di poter uscire dalla buca in cui era caduta lo scorso decennio. Tuttavia, dopo una buona spinta decennale, ora, l’industria e l’intera economica si stanno raffreddando, e – di contro – i problemi stanno aumentando per alcuni settori, come quello delle compagnie aeree.

In un report denominato “Turismo in Islanda: Atterraggio morbido o un flop”, Arion Bank hf ha avvertito che la nazione potrebbe affrontare un drastico calo del numero di visitatori il prossimo anno, dopo un boom che ha visto gli arrivi più che quadruplicati nell’ultimo decennio. Il turismo è la più grande fonte di export per il Paese, e rappresenta il 12% del prodotto interno lordo e circa il 20% degli investimenti delle imprese.

Dunque, se un decennio fa la crisi islandese partì dalle banche, oggi potrebbe partire dal turismo. La ricaduta di una crisi di questo settore potrebbe influenzare l’intera economia, tra cui la domanda di lavoro, gli investimenti alberghieri, il saldo delle partite correnti, il tasso di cambio della corona, e così via.

Naturalmente, è presto per poter saltare a conclusioni evidentemente troppo affrettate. Tuttavia, il raffreddamento del business turistico appare già evidente nelle prime compagnie del settore: i vettori islandesi hanno già incontrato turbolenze di bilancio, mentre altri operatori scandinavi sono stati schiacciati dall’aumento dei prezzi del petrolio dopo essersi imbarcati su progetti ambiziosi per conquistare una fetta del mercato dei viaggi transatlantici.

Tra i casi più emblematici della crisi del settore dei trasporti aerei, uno dei simboli è rappresentato da Icelandair Group hf, costretta questa settimana a cercare l’aiuto degli obbligazionisti dopo aver lanciato un profit warning e aver visto il suo amministratore delegato lasciare l’attività, due mesi fa. La compagnia aerea di Reykjavik aveva sperato in un aumento delle tariffe aeree europee che, però, non si è mai verificato.

Ancora, Wow Air Ehf, un vettore low-cost in rapida crescita che insieme a Icelandair è in grado di condurre la maggior parte dei turisti in Islanda, è stato oggetto di un turbine di speculazioni per aver raccolto nuovo denaro attraverso un’emissione obbligazionaria. Ha annullato i voli per Edimburgo, Stoccolma e San Francisco durante l’inverno, citando ritardi nella consegna di due aerei Airbus A330neo.

La stessa motivazione è stata poi citata anche da Primera Air, un altro vettore nordico, che ha presentato istanza di fallimento qualche giorno fa. Norwegian Air Shuttle ASA, un pioniere dei voli transatlantici a basso costo, ha nel frattempo tagliato alcune rotte, alle prese con costi eccessivi.

Problemi che, peraltro, non sono passati inosservati alla banca centrale. Il mese scorso l’istituto banchiere è stato costretto ad intervenire sul mercato valutario per sostenere la corona, che è crollata proprio dopo l’esplosione dei timori per una deteriorata situazione finanziaria di Wow Air.

“Non è un segreto che le compagnie aeree, in particolare qui nel Nord Atlantico, stanno affrontando un ambiente operativo più difficile di prima”, ha detto il governatore della Banca Centrale Mar Gudmundsson in un’intervista a Reykjavik mercoledì scorso. “I prezzi del petrolio sono quasi raddoppiati in un anno e la concorrenza in questo mercato è grande”.

Il problema delle compagnie aeree islandesi si colloca sullo sfondo di un evidente rallentamento del turismo, che secondo le previsioni della banca centrale non dominerà più le esportazioni islandesi nel 2019. Il numero di persone che visitano l’Islanda è aumentato di quasi il 40 per cento nel 2016 ma solo del 24 per cento nel 2017. In questi due anni, l’economia è cresciuta ad un tasso annuo rispettivamente del 7,4% e del 4%. Secondo l’operatore aeroportuale ISAVIA, l’aumento annuale di quest’anno dovrebbe essere del 15%.

Il mese scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha dichiarato che gli effetti di una forte corona tra il 2014 e il 2016 si sono fatti sentire sulla crescita del turismo e sulla domanda interna. Tra i rischi potenziali per l’economia, il governo si è in particolar modo soffermato sui prezzi del petrolio, sulla crescente concorrenza nel settore del trasporto aereo, sull’escalation delle tensioni commerciali mondiali e sull’incertezza sui negoziati Brexit.

Tuttavia, il governatore Gudmundsson respinge qualsiasi confronto con la crisi bancaria di 10 anni fa. “Si trattava di eventi completamente diversi” – ha detto.

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