Così come le piazze finanziarie statunitensi, anche le Borse europee sembrano essere appesantite dopo la pubblicazione dei dati dell’inflazione a stelle e strisce, che manifestano un incremento dei prezzi che risulta esser stato maggiore delle previsioni.

Ne è derivata una partenza debole per le Borse europee, sulla scia dei listini asiatici e del calo di Wall Street. Un peso che probabilmente è frutto anche dalla tenuta dei listini di ieri, quando grazie alla revisione al rialzo delle stime di crescita da parte della Commissione Europea, e alla pubblicazione di alcune trimestrali positive, hanno indotto le principali piazze a tenere il ritmo maturato nella sessione.

Ora, però, i listini continentali devono fare i conti con il peso dell’inflazione americana, che ha fatto segnare un incremento del 4,2% ad aprile su base annua, per il ritmo maggiore dal 2009 ad oggi. E, in fondo, la domanda che echeggia negli studi di analisi è sempre la stessa: si tratta di un incremento strutturale o è temporaneo?

La preoccupazione è molto evidente. Se infatti l’incremento dell’inflazione fosse duraturo e strutturale, e non dovesse rimarginarsi nei prossimi mesi, allora la Federal Reserve sarebbe chiamata a intervenire, andando a ridurre gli stimoli monetari molto prima di quanto il mercato stia attualmente scontando. Dunque, è possibile che nelle prossime riunioni possano essere varate riduzioni degli acquisti di titoli e, magari, degli incrementi dei tassi di riferimento.

Se invece l’incremento dell’inflazione fosse solo temporaneo (è questa la tesi che la Federal Reserve, almeno per il momento, sta portando avanti), allora la banca centrale potrebbe limitarsi ad assumere un atteggiamento rialzista, tollerando questa situazione in modo passivo, senza intervenire.

Una cosa sembra dunque essere certa: le prossime settimane saranno piuttosto calde sul fronte dei dati macroeconomici, e l’inflazione statunitense sarà una priorità per tutti gli analisti internazionali…

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