
Secondo una nuova analisi della banca tedesca Berenberg, l’era d’oro del lusso globale starebbe volgendo al termine. Gli esperti parlano non di una normale flessione congiunturale, ma di un vero cambio strutturale nel comportamento dei consumatori e nelle dinamiche di mercato. A essere in crisi, sottolineano gli analisti guidati da Nick Anderson, non è l’offerta, bensì la domanda, sempre più debole e frammentata.
Il lusso rallenta come mai prima: solo tre volte in trent’anni
Il 2025 potrebbe segnare un punto di svolta storico. Sarebbe infatti la terza volta in tre decenni che il settore del lusso registra un calo dei ricavi per due anni consecutivi, dopo la bolla delle dot-com e la crisi finanziaria del 2008. Ma, a differenza di quei periodi, oggi le Borse mondiali toccano massimi record, rendendo il rallentamento ancora più anomalo e preoccupante. Nonostante ciò, molti analisti continuano a prevedere una ripresa “imminente”, alimentando quello che Berenberg definisce un eccessivo ottimismo sistemico.
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La crescita rallenta: da +6% storico a un modesto +2-3%
Il team di Berenberg rivede al ribasso le proprie stime di crescita: nei prossimi anni il comparto dovrebbe espandersi solo del 2-3% annuo, contro una media storica del 6%. La causa è una “tempesta perfetta” di fattori che pesano sui consumi:
- spesa cinese in calo e ripresa turistica ancora lontana dai livelli del 2015;
- consumatori aspirazionali colpiti dall’inflazione, dai costi delle case e dall’incertezza lavorativa;
- Generazione Z sempre più attratta da mercati secondari e brand “alternativi”, in aperta rottura con i prezzi esorbitanti del lusso tradizionale.
In parallelo, solo i consumatori più facoltosi – la cosiddetta fascia di ultra-ricchi – continuano a sostenere le vendite, creando un mercato “a due velocità” dove solo i marchi più esclusivi prosperano.
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Cina in crisi strutturale e turismo ancora debole
La Cina, che rappresenta circa il 21% della spesa mondiale di lusso, non è più il motore trainante di un tempo. Tra debito elevato, declino demografico e pressioni deflazionistiche, il mercato cinese appare “strutturalmente compromesso”. A questo si aggiunge un euro forte, che penalizza le vendite europee verso i turisti internazionali.
Stati Uniti ancora solidi, ma dipendenti dai mercati finanziari
Sul fronte americano, Berenberg intravede margini per guadagni di quota, ma con un’importante riserva: la spesa di lusso negli Stati Uniti è sempre più legata all’andamento di Wall Street. “Il consumo di lusso negli USA”, scrivono gli analisti, “è ormai una scommessa a leva sull’S&P 500 e sull’intelligenza artificiale”. In altre parole, finché i listini restano alti, la domanda tiene; ma basta una correzione per innescare un rapido calo.
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Le nuove strategie di posizionamento nel settore
Berenberg delinea una strategia d’investimento chiara:
- Long sui marchi di lusso assoluto (Hermès, Cucinelli, Ferrari) e short su quelli aspirazionali;
- Long sugli Stati Uniti e short sulla Cina;
- Preferenza per gioielleria e accessori soft luxury rispetto a orologi e pelletteria hard luxury;
- Interesse crescente per il segmento sportivo, percepito come più dinamico e resiliente.
Tra i titoli promossi spiccano Brunello Cucinelli, Hermès e Ferrari, grazie alla loro capacità di mantenere alti margini, un forte controllo sui prezzi e una minore esposizione al mercato cinese.
LVMH e Kering in difficoltà, Swatch sotto pressione
Il giudizio cambia invece per i colossi più esposti al mercato di massa: LVMH viene declassata a Hold, penalizzata dall’ampia presenza in categorie entry-level, mentre Kering scende addirittura a Sell, a causa della probabile contrazione dei ricavi. Anche Swatch riceve un rating negativo, per via della crisi del comparto orologi, mentre Moncler e Richemont restano su un neutrale Hold.
Multipli elevati e margini in discesa
Sul piano delle valutazioni, Berenberg avverte che i multipli di mercato restano ben al di sopra dei livelli pre-2017, mentre i margini operativi subiscono una crescente erosione. Con i ricavi che non tengono il passo dell’aumento dei costi e dei salari, il rischio è duplice: non solo una riduzione degli utili, ma anche un repricing strutturale di tutto il settore.
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