Le previsioni sull’andamento del prezzo del petrolio nel 2018 potrebbero subire una revisione in considerazione della fase molto particolare che l’OPEC, organizzazione tra i paesi produttori di greggio, attraversa. Spesso si è abituati a pensare all’OPEC coma da un blocco monolitico. In realtà questa organizzazione non è mai stata compatta e lo è ancora di meno oggi dopo che l’embargo sulla produzione di greggio contro l’Iran è venuto meno. Proprio l’Iran è uno dei paesi che rischia di mandare in cortocircuito l’OPEC stessa. I rappresentanti di Teheran, infatti, hanno dichiarato che il loro obiettivo è un prezzo del petrolio a 60 dollari al barile. Questo target non è assolutamente condiviso da un altro gigante del greggio, l’Arabia Saudita. Il target della quotazione del petrolio per Riad è infatti a 70 dollari al barile. Ci sono quindi ben 10 dollari di differenza tra le aspettative dell’Iran e quelle dell’Arabia Saudita. Il problema non è solo di numeri visto che Riad e Teheran sono anche rivali religiosi (Iran è sciita e Arabia Saudita è sunnita), geopolitici e anche militari (sia pure per interposta persona in Siria). 

Una spaccatura di prospettive sul prezzo del petrolio ottimale, quindi, preoccupa e non poco. Il litogio tra sauditi e iraniani nasce però lontano dal Medio Oriente. A far saltare gli equlibri tra i due paesi è infatti la produzione di shale oil da parte degli Stati Uniti. L’Iran vorrebbe che il prezzo del petrolio non vada verso quota 70 dollari appunto per evitare che gli Usa possano reagire incrementando la produzione di shale oil e quindi determinando un crollo delle quotazioni. Viceversa l’Arabia Saudita ha un bisogno quasi fisiologico che le quotazioni di petrolio salgano verso i 70 dollari al barile. Di conseguenza Riad non si dice preoccupata per ik rischi connessi allo shale oil Usa. Per l’Arabia Saudita, e su questo punto c’è la differenza radicale con l’Iran, la presenza della Russia rappresenta il maggior deterrente per frenare l’attivismo Usa. In poche parole per l’Arabia Saudita, lo shale oil Usa rappresenta un non problema. Ad essere invece un problema per i sauditi sono i piani di rilancio economico che hanno bisogno di forti entrare che solo il greggio può garantire. 

In questa disputa tra iraniani e sauditi sul prezzo del greggio, il mercato da che parte sta? Andando a guardare al grafico sull’andamento della quotazione petrolio, si evince come a gennaio il petrolio Brent abbia raggiunto e superato quota 70 dollari al barile salvo poi ripiegare. Il Brent oggi è assestato sotto i 65 dollari al barile (WTI a 61,5 dollari al barile). Secondo alcune recenti analisi, nel caso in cui le previsioni sul prezzo del petrolio per il 2018 fossero confermate a 70 dollari al barile, ci sarebbe una produzione USA in crescita di altri 600000 barili giornalieri. Uno studio condotto dalla International Energy Agency (IEA) ha evidenziato che la produzione di shale da parte degli Usa è già aumentata a tal punto da costringere l’OPEC stessa a pensare ad una estensione dei tagli alla produzione oltre la data di scadenza dell’accordo originario. Questi elementi sembrano confermare che le politiche Usa sullo shale oil sono destinate ad essere, direttamente e indirettamente (come i nervi tesi tra Iran e Arabia Saudita confermano) il fattore decisivo sull’andamento del prezzo del petrolio. 

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