Guerra commerciale USA – Cina: chi vincerà?

Di guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e di suoi riflessi in ambito globale abbiamo già parlato più volte nel corso delle ultime settimane. Torniamo oggi sull’argomento approfittando dell’interessante contributo di Legal&General Investment Management, una delle più importanti società di gestione al mondo, che è intervenuto sul tema per voce di Tim Drayson, Head of Economics della società.

L’esperto ci ricorda come fino all’inizio di quest’anno, i mercati vedevano di sostanziale buon occhio il Presidente americano Donald Trump. Merito degli annunciati e realizzati stimoli fiscali, dell’azione della deregulation e di altre iniziative che hanno sostenuto la crescita, almeno nel breve periodo (dubbi maggiori ci sono invece sulla sostenibilità nel medio periodo).

Negli ultimi mesi, tuttavia, i mercati sono diventati sempre più nervosi rispetto all’agenda protezionista dell’amministrazione Trump. “È molto difficile stabilire fino a che punto possa arrivare la loro tolleranza – ci dice Drayson – Finora, abbiamo assistito a ritorsioni proporzionali per ogni misura intrapresa dagli USA e vi sono segnali che indicano che l’amministrazione americana è preparata a regolare la propria retorica e il proprio indirizzo politico in caso di scossoni del mercato azionario”.

Molto naturalmente dipenderà da quanto effettivamente si realizzerà. Finora sono stati introdotti dazi sull’acciaio, sull’alluminio, sul legname, usi pannelli solari e sulle lavatrici, la cui giustificazione è stata poco credibilmente legata a motivazioni sicurezza nazionale e discipline commerciali. I più alti costi delle importazioni hanno probabilmente determinato un maggiore pregiudizio agli utilizzatori di queste merci piuttosto che al valore dei posti di lavoro “salvati” nei settori protetti, tuttavia l’impatto macroeconomico complessivo è ancora minimo. Basti considerare, in tal senso, che tutti i prodotti nel loro insieme rappresentano solo una piccola quota dell’economia americana (non più dello 0.2% del PIL).

Diverso è il discorso per la Cina, subissata di dazi su decine di miliardi di beni. E anche se Pechino ha annunciato che reagirà in modo proporzionale e all’interno di aree specifiche per poter danneggiare gli Stati Uniti, è comunque improbabile che l’impatto diretto sulla crescita superi lo 0.1%-0.2% del PIL. “Secondo le previsioni, gli Stati Uniti cresceranno circa del 3% nel 2018, pertanto questo lieve impatto non sarà molto significativo. Le nostre previsioni si basano sul fatto che la guerra commerciale raggiungerà una fragile tregua intorno a questi livelli di dazi, ma temiamo che possa peggiorare nella corsa alle elezioni americane di medio termine a novembre” – rammenta l’analista.

Tuttavia, quanto sopra non basta. Trump sta tirando ulteriormente la corda minacciando dazi per ulteriori 200 miliardi di dollari americani se la Cina continua a minacciare reazioni, portando dunque a coprire potenzialmente tutti i 500 miliardi di dollari di beni cinesi esportati verso gli USA e determinando un aumento dei prezzi su beni di consumo di elevato profilo come TV e cellulari.

Ma questa situazione di crescente tensione potrebbe realmente essere un buon azzardo per Trump?

Forse, si. La Cina non può infatti replicare alla minaccia di Trump dollaro per dollaro, in quanto il valore delle sue importazioni di merci americane è solo di 150 miliardi di dollari. Tuttavia, guai a semplificare eccessivamente la relazione in questo senso: se infatti è vero che non è ancora chiaro come Trump ostacolerà gli investimenti cinesi in alcune tecnologie americane, è anche vero che in questo frangente la Cina può rispondere colpendo le società statunitensi che operano al suo interno.

Ed è proprio questo il timore principale per gli Stati Uniti. Non tanto i dazi sull’import a stelle e strisce, quanto ritardi, controlli fiscali e maggiori controlli normativi che potrebbero danneggiare le società americane, come quelle cinematografiche o farmaceutiche.

“La Cina si è inoltre dimostrata molto efficace in passato nel creare una macchina della propaganda per incoraggiare il boicottaggio delle importazioni di merci americane o anche i viaggi verso gli USA. Mentre l’impatto negativo sul PIL cinese di una guerra commerciale di rappresaglia è circa il doppio di quello USA (poiché è un’economia più ristretta e aperta di quella americana), il Paese sta crescendo almeno al doppio della velocità. Inoltre la Cina probabilmente ha a disposizione più strumenti politici per compensare gli shock della domanda. Senza escludere la possibilità che la politica del paese diventi di nuovo più reflazionistica, in risposta a un potenziale shock negativo della domanda da parte del settore commerciale” – afferma Drayson.

Per l’esperto, insomma, molto dipenderà da come si muoverà Trump sul breve termine e da come la Cina percepirà le motivazioni degli Stati Uniti. “Se la strategia di Trump è solo quella di una negoziazione parziale, si potrebbe trovare un compromesso che potrebbe anche migliorare il sistema commerciale globale. Se tuttavia l’obiettivo è più strategico e orientato a frenare la crescita della Cina come potenza globale, Pechino prenderà una posizione molto più rigida contro qualsiasi prepotenza americana. Per questo motivo e visto l’aumento dei prezzi del petrolio, riteniamo che vi siano rischi di un forte ribasso per la crescita globale rispetto al momentum attuale” – conclude l’analista.

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