Il crollo di Apple a Wall Street era annunciato ma forse in pochi si attendevano una contrazione di tale portata che spinge a parlare di vero e proprio panic-selling che si è abbattuto sull’azionario americano. La quotazione Apple nella seduta di ieri ha perso il 9,96 per cento bruciando qualcosa come 450 miliardi di dollari di capitalizzazione. Il crollo della quotazione Apple va inserito in un contesto generale che vede tutti gli indici della borsa Usa in profondo ribasso. Nel dettaglio, il Dow Jones ha registrato un ribasso del 2,83 per cento a 22.686,49 punti, il Nasdaq ha perso il 3,04 per cento a 6.463,50 punti e lo S&P 500 ha chiuso la sessione con un calo del 2,47 per cento a 2.447,93 punti. Come logico, il crollo di Apple ha impattato soprattutto sull’indice Nasdaq che raggruppa i titoli del settore tecnologico quotati sui listini americani.
Il crollo delle azioni Apple è l’inizio della fine di Apple? Dare una risposta a questa domanda è per adesso impossibile. I segnali arrivati dalla seduta di ieri, però, sono molto preoccupanti. Le perdite registrate da Apple sono state maggiori rispetto al valore di ben 496 delle 500 società dello S&P 500 prese singolarmente. Per fare degli esempi il ribasso di Apple è stato maggiore del valore di JPMorgan e di quello di Facebook. E’ per questo motivo che la corsa a vendere azioni Apple potrebbe avere uno strascico anche lungo. In altre parole, come hanno messo in evidenza alcuni analisti, si potrebbe essere solo all’inizio di una grave crisi finanziaria di proporzioni mondiali.
Il crollo di Apple è stato un effetto diretto della decisione della società americana di tagliare le stime sui ricavi del primo trimestre del nuovo anno fiscale. Il taglio delle previsioni, a sua volta, è stato un effetto delle indicazioni molto deboli giunte dalle vendite sul mercato cinese. E’ la Cina il problema di Apple ma quello che è peggio è che la Cina potrebbe essere il problema di molte aziende americane. Il rallentamento economico di Pechino potrebbe presto presentare un conto anche salato ai mercati globali. Ma non si tratta solo di questo.
Il problema, come evidenziato dallo stesso Cook in conferenza stampa, è che la crisi economica della Cina è arrivata in un momento di alta tensione nei rapporti commerciali tra Pechino e gli Usa. La guerra commerciale, insomma, non aiuta anche perchè essa genera un pericoloso avvitamento verso lo sciovinismo anche nelle scelte di acquisto.
Il crollo delle azioni Apple potrebbe generare una serie di effetti a cascata dalla portata non indifferente. Per avere un esempio basta pensare al fatto che la celebre Berkshire Hathaway del magnate Warren Buffett possedendo 252,5 milioni di azioni di Apple, potrebbe perdere qualcosa come 2,8 miliardi di dollari!
Ma non è solo un problema di borsa e di mercati. Il rischio concreto è che il nuovo crollo di Wall Street apra le porte ad un panic selling di lunga portata. La guerra commerciale tra Usa e Cina ha infatti già provocato accese lamentale da parte del management di Ford con il CEO Jim Hackett che ha rivelato che le sanzioni fiscali su acciaio e alluminio sono costate 1 miliardo di dollari nel 2018 e da parte di molte società del settore lusso che hanno nella Cina un importante mercato di riferimento. A titolo di esempio valga il caso di Tiffany le cui quotazioni sono calate del 9,6 per cento il 28 novembre a causa della delusione per le deludenti vendite del terzo trimestre costrette a fare i conti con la minore spesa dei turisti cinesi negli Stati Uniti e a Hong Kong.
Insomma la Cina sembra avere il coltello dalla parte del manico.
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