Prezzo petrolio Brent chiuderà 2023 a 86$? Terza revisione per Goldman Sachs

Per la terza volta in appena 6 mesi gli analisti di Goldman Sachs hanno rivisto al ribasso le previsioni sul prezzo del petrolio. Il nuovo aggiustamento conferma la fase di estrema incertezza che caratterizza il greggio. L’oro nero è sempre più alle prese con il rischio inflazione che ovviamente impatta negativamente sui prezzi anche perchè ci sono sempre da considerare anche gli alti tassi di riferimento applicati dalle banche centrali.

La decisione di Goldman Sachs di rivedere al ribasso le stime sull’andamento delle quotazioni petrolifere nel 2023 ha avuto un impatto immediato sui prezzi. Questa mattina il greggio in versione WTI segna un ribasso del 2,85 per cento a quota 68,16 dollari al barile mentre il Brent è in calo del 2,5 per cento a quota 73 dollari al barile. La forte contrazione delle quotazioni petrolifere sta ovviamente impattando sui titoli più esposti all’oro nero e non è quindi un caso se sul Ftse Mib le quotate peggiori sono proprio Saipem e Eni.

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Ecco le nuove previsioni di Goldman Sachs sul petrolio

Nella sua ultima revisione sul prezzo del greggio, la banca d’affari Usa Goldman Sachs ha tagliato le previsioni di circa il 10 per cento portando le stime di fine anno sul Brent a 86 dollari al barile (contro i 95 del precedente report) e quelle sul WTI a 89 dollari al barile (contro le precedenti 91).

Nel report gli esperti fanno riferimento alla produzione russa che è rimasta solida nonostante le sanzioni applicate dall’Occidente. Goldman Sachs, in particolare, fa notare che dopo un primo forte calo fino a 1,5 milioni di barili al giorno, l’offerta di greggio della Russia si è quasi del tutto ripresa nonostante nonostante la decisione di molte compagnie di bloccare l’acquisto di barili russi.

Nella nota gli analisti della banca d’affari Usa hanno anche rivisto le previsioni sull’offerta di petrolio da parte dei Paesi sottoposti a sanzioni, eseguendo aggiornamenti positivi al 2024 sulla Russia (0,4 milioni di barili al giorno), sull’Iran (0,35 mln di barili al giorno) e sul Venezuela (0,05 milioni di barili al giorno).

A spingere verso la revisione al rialzo delle stime sulla produzione (e quindi il taglio al ribasso delle previsioni sui prezzi a fine anno), ci sono state anche le notizie in merito ad un provvisorio sul nucleare tra Stati Uniti e Iran, in base al quale Teheran potrebbe vedersi concedere il diritto a esportare oltre 1 milione di barili al giorno in più. Ad ogni modo l’intesa non sarebbe stata ancora confermata.

Sempre nella loro nota gli analisti scrivono anche che l’intesa con l’Arabia Saudita sulla produzione ha ben poche possibilità di portare ad una impennata sostenuta dei prezzi anche se la produzione dello stato arabo, alla fine dovrebbe subire un calo a 9 milioni di barili al giorno rispetto ai circa 10 milioni di barili di maggio.

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Insomma le restrizioni all’output che l’organizzazione dei paesi produttori ha confermato fino al 2024 e il taglio volontario alla produzione deciso dall’Arabia Saudita, non dovrebbero avere alcun impatto significativo alla view ribassista che le quotazioni petrolifere presentano da qui a fine anno. Secondo GS, infatti i due driver saranno capaci di compensare solo in minima parte i tanti catalizzatori che invece spingono su un ulteriore calo dei prezzi.

Per investire sul prezzo del petrolio senza comprare fisicamente il sottostante (anche perchè si tratterebbe di acquistare barili di greggio e questo non è ovviamente possibile) si può usare uno strumento derivato come i CFD (Contratti per Differenza). In questo modo è possibile cogliere tutto il potenziale del trading operando sia al rialzo (long) che al ribasso (short).

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