I PIRPiani Individuali di Risparmio sono uno strumento ancora non pienamente fruito, che nel recente passato ha contribuito alla ripresa delle piccole e medie imprese, avvicinando gli investitori a un nuovo modello di impiego sul gestito che si è favorevolmente accompagnato da un vantaggio fiscale non certo sottovalutabile.

Non è dunque un caso che – secondo gli ultimi dati forniti da Assogestioni – il patrimonio totale dei PIR abbia raccolto nei suoi primi due anni di vita 18,5 miliardi di euro. E per quanto concerne il futuro?

Probabilmente, l’eliminazione di alcuni vincoli, attraverso una corposa modifica al regolamento, potrebbe rendere il 2020 l’anno giusto per un vero e proprio boom di questi strumenti.

Le novità della normativa

I vincoli di cui sopra abbiamo fatto breve cenno sono stati eliminati con gli interventi normativi più recenti. In particolar modo, sono stati rimossi i limiti del 3,5% dell’investimento sull’AIM di Borsa Italiana, e al venture capital, introducendo invece come unico limite la soglia del 5% del valore complessivo del PIL (70%) in strumenti finanziari di imprese differenti da quelli inseriti negli indici FTSE MIB e MID di Borsa Italiana o in indici equivalenti di altre Borse.

Altra novità è legata al fatto che i fondi pensione e i fondi di investimento possono detenere più di un PIR, pur restando nel limite del 10% del patrimonio complessivo.

Le previsioni

Le nuove regole dovrebbero far ripartire la raccolta sui PIR, che potrebbe giungere a quota 3,5 miliardi di euro nel 2020, per poi salire a 4 miliardi di euro nel 2022 e, quindi, a 4,5 miliardi di euro nel 2022 (dati Intermonte).

Per la società IR Top Consulting, i nuovi PIR potrebbero generare nel triennio 2020 – 2022 tre effetti principali, quali un incremento medio del numero di quotazioni annue (+ 30%), una crescita della dimensione media della raccolta (10 milioni di euro a fine periodo, + 69%), e un beneficio per il 2020 del credito di imposta sui costi di quotazione.

Il ruolo delle società di gestione

Le nuove regole recentemente introdotte hanno evidentemente indotto le società di gestione a riaprire le sottoscrizioni dei PIR, adeguando i propri prodotti alla normativa in vigore. Il tutto dovrebbe favorire, evidentemente, le piccole e medie imprese, che avranno un canale alternativo al finanziamento.

Ad ogni modo, secondo i gestori, per poter garantire un più coerente sviluppo del segmento occorrerebbe effettuare un’ulteriore modifica alla normativa, ovvero l’innalzamento della quota annuale investibile ad almeno 100 mila euro per poter favorire l’ingresso del private banking.

I vantaggi dei PIR

Anche in attesa di tale evoluzione, riteniamo che i PIR potrebbero comunque risultare piuttosto vantaggiosi per le persone fisiche interessate a diversificare i propri investimenti.

Ricordiamo infatti che questi investimenti non hanno durata minima o massima, ma che l’orizzonte temporale dovrebbe comunque essere pari ad almeno 5 anni, considerato che è necessario mantenere tale prodotto per questo periodo per poter ottenere le importanti agevolazioni fiscali sugli utili: non si pagano infatti le imposte sul capital gain e sui rendimenti.

Infine, sottolineiamo come i PIR siano esenti dall’imposta di successione, e che l’investimento minimo è di soli 500 euro (massimo di 30.000 euro, con limite a 5 anni pari a 150 mila euro).

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