Riforma pensioni, allo scadere di Quota 100 si potrebbe passare a Quota 102, ecco come funziona

Con l’appuntamento ormai alle porte l’incontro tra Governo e sindacati per discutere della riforma delle pensioni, si riaffaccia una proposta di cui si era già parlato, quella di rimpiazzare Quota 100 con Quota 102 quando la prima giungerà alla sua naturale scadenza.

Si torna a parlare della riforma delle pensioni quindi, visto che nella giornata di domani si terrà il tavolo di confronto, nel corso del quale verranno presi in esame i possibili provvedimenti da inserire nella nuova legge di Bilancio.

Quello di domani, 16 settembre, è il primo dei due incontri tra Governo e Sindacati per raggiungere un accordo sulla riforma delle pensioni, ma si partirà dalla finanziaria 2021, mentre il secondo incontro è previsto per il 25 settembre, e sarà incentrato proprio sulla riforma delle pensioni, e sul sistema da adottare allo scadere di Quota 100.

Quota 100 infatti terminerà, come da programma, a dicembre 2021, dopodiché si torna alla precedente normativa a meno che non si completi la riforma delle pensioni. Tra l’altro tra chi sarà andato in pensione a dicembre 2021 e chi potrà andarci a partire dal mese successivo si creerebbe un enorme scalino, visto il salto dall’età dai 62 anni ai 67 previsti dalla legge Fornero.

Scade Quota 100 e si passa a Quota 102?

I tre anni di sperimentazione per Quota 100 termineranno tra poco più di un anno, quindi a partire da gennaio 2022 non sarà più possibile andare in pensione a 62 anni di età con 38 anni di contributi versati.

E se si tornerà alla legge precedente si creerà il problema dello ‘scalone’ di ben 5 anni, come accennato poc’anzi. Si devono quindi trovare delle soluzioni alternative, e tra quelle ipotizzate c’è anche Quota 102.

Di Quota 102 si è tornato a parlare proprio in questi giorni, con un articolo apparso su Il Messaggero che affronta la questione delle alternative a Quota 100, a cominciare naturalmente dalla possibilità di estendere Quota 41 anche a quei lavoratori che non rientrano nella categoria di lavoratori precoci.

In questo caso, applicando Quota 41 anche alle altre categorie di lavoratori, sarebbe possibile accedere alla pensione al raggiungimento di 41 anni di contributi, senza alcun limite di età. È così infatti che funziona attualmente per i lvoratori precoci, vale a dire per quelle persone che all’età di 19 anni avevano già versato un anno di contributi.

Per adottare il sistema di Quota 41 per tutti però ci sono alcuni ostacoli non indifferenti da superare, a cominciare dalla questione delle coperture. Prima dell’arrivo di Quota 100 erano state fatte infatti delle stime in merito al costo di Quota 41, ed era stata calcolata una spesa di 12 miliardi di euro già al primo anno.

Da cui la necessità di proporre soluzioni alternative e più compatibili con l’esigenza di contenere la spesa per le pensioni. Si è quindi tornati a parlare dell’ipotesi Quota 102, che prevede un meccanismo in tutto simile a quello di Quota 100, ma che a sua differenza offre la possibilità di andare in pensione a 64 anni invece che a 62.

Si andrebbe così a ridurre lo ‘scalone’ dei 5 anni, ad un più accettabile scalino da 2 anni, di fatto però l’età pensionabile si andrebbe ad allungare e di certo non a ridursi.

Questa però non è l’unica differenza, visto che per rendere sostenibile un pensionamento a 62 anni sarà necessario provvedere ad un taglio dell’assegno. Si calcola che la sforbiciata nel caso di Quota 102 dovrà essere compresa tra il 2,8% ed il 3% del montante contributivo per ciascun anno necessario al raggiungimento dei requisiti di età previsti per la pensione di vecchiaia.

Eppure la riforma di Quota 102 risulterebbe comunque meno onerosa per le casse dello Stato di quanto non lo sarebbe l’estensione a tutti i lavoratori di Quota 41. Stando ai dati tecnici che arrivano dal Ministero infatti per Quota 102 si stima un costo di circa 8 miliardi di euro, mentre con Quota 41, come accennato, servirebbero 12 miliardi.

Su Il Messaggero viene anche spiegato che per lo Stato si tratterebbe di un flusso di denaro in uscita “per competenza” e non per cassa, che nel corso degli anni a venire è destinato a ridursi. In particolare, dal punto di vista della cassa, si avrebbe un incremento delle uscite pari a zero perché si taglierebbero gli assegni dei trattamenti pensionistici, ma al contempo si avrebbe un aumento nel capitolo competenze visto che il numero di pensionati crescerebbe.

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