Sebbene nei 10 anni che hanno fatto seguito alla crisi finanziaria i titoli growth (con particolare riferimento al settore tecnologico) hanno fatto registrare delle prestazioni che sono state mediamente superiori ai titoli value, il futuro a breve termine potrebbe riservare qualche sorpresa, tanto che molti investitori si stanno già preparando al ritorno dei titoli value. Ma in che modo?
A fornire una utile panoramica di quel che potrebbe accadere è Yoram Lustig, Responsabile delle Soluzioni Multi-Asset, EMEA di T. Rowe Price, secondo cui così come avviene per qualsiasi investimento, “le valutazioni dei titoli value e growth attraversano dei cicli. Una misura della valutazione dei titoli sono i rapporti prezzo/utili (P/E). Tipicamente il rapporto P/E dei titoli growth è più elevato rispetto a quello dei titoli value e ciò non è sorprendente dato che una delle definizioni di questi ultimi è di avere dei rapporti P/E relativamente bassi. Tuttavia, nel 2008 il rapporto P/E dei titoli value ha superato quello dei titoli growth”.
Sempre secondo l’esperto, le valutazioni relative potrebbero essere una delle determinanti in grado di consentire l’avvio del ciclo growth, anche se in realtà il rapporto P/E dei titoli value è sceso al di sotto di quello relativo ai growth, riducendo pertanto l’importanza delle valutazioni nel novero delle ragioni alla base della durata del ciclo stesso.
Per spiegare la divergenza tra i titoli growth e quelli value negli ultimi 10 anni, val dunque la pena spostare lo sguardo altrove. In particolare, rammenta ancora l’esperto, “durante la bolla tecnologica della fine degli anni ‘90, gli investitori hanno sottostimato i rischi commerciali delle società tecnologiche e sovrastimato le loro prospettive future, il che ha portato allo scoppio della bolla nel 2000. Tuttavia, a partire dal 2008 le società tecnologiche non solo hanno soddisfatto le aspettative ma le hanno anche superate, con lo sviluppo delle cosiddette FAANG – Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google. Durante lo stesso periodo, i titoli finanziari hanno registrato performance nel complesso in linea con il mercato generale. Bassi tassi di interesse e appiattimento della curva dei rendimenti, abbinati a rigide normative post-crisi finanziaria e alla concorrenza, hanno intaccato la redditività delle società operanti nel settore dei servizi finanziari”.
Sulla base di quanto sopra sarebbe dunque possibile individuare una determinante della divergenza dell’andamento delle due categorie dei titoli, considerando che le società finanziarie tendono ad essere orientate al valore, e quelle tecnologie alla crescita.
Ancora, “tipicamente, i titoli growth presentano una duration più elevata (sensibilità ai tassi di interesse) rispetto ai titoli value. Ciò è in linea con le aspettative di un maggiore cash flow generato dai titoli growth in un futuro relativamente distante. Di conseguenza, il cash flow dei titoli growth è più sensibile alle variazioni dei tassi di interesse. Dal 2008, a causa del ritmo moderato della crescita economica, dei prolungati programmi di quantitative easing e della ripresa economica, i titoli growth hanno tratto beneficio dai bassi livelli dell’inflazione e dei tassi di interesse” – aggiunge ancora l’esperto di T.Rowe Price.
Insomma, nel corso degli ultimi 10 anni un mix tra bassi tassi di interesse, spinta dei tecnologici, valutazioni favorevoli e ciclo economico avrebbero determinato le condizioni ideali per i titoli growth.
Difficile però che queste condizioni siano in grado di protrarsi a lungo. Sia sufficiente considerare come i tassi negli USA stanno risalendo, le valutazioni non favoriscono più i titoli growth, è possibile che il ciclo economico entri in recessione e i titoli tecnologi potrebbero perdere slancio.
Meglio dunque puntare a un miglior equilibrio tra value e growth, usando la giusta flessibilità per potersi adattare ai nuovi contesti in evoluzione.
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