Fusione Banco BPM UBI Banca sarebbe cara: serve aumento di capitale da 3 miliardi

Si fa presto a dire fusione Banco BPM UBI Banca. La verità è che nell’ipotesi in cui si dovesse davvero andare verso una integrazione tra i due istituti, sarebbe necessario varare un aumento di capitale. A fare i conti alle possibili condizioni economiche per l’integrazione tra le due banche è stato l’inserto L’Economia del Corriere della Sera.

Il supplemento del quotidiano ha dedicato un lungo articolo allo stato di salute delle banche italiane mettendo in evidenza i motivi per cui il settore bancario italiano non è ancora del tutto autonomo e in grado di competere al 100 per cento con quelle che sono le nuove sfide in permanente evoluzione imposte dall’era globale. 

E’ nell’ambito di tale discorso che il Corriere della Sera ha inserito il riferimento all’ipotesi di fusione Banco BPM UBI Banca circolata con molta insistenza nelle ultime settimane in scia alle parole dell’amministratore delegato di Banco BPM Giuseppe Castagna. 

Venendo ai numeri, il Corriere della Sera ritiene che un’eventuale integrazione tra le due banche richiederebbe un aumento di capitale per un ammontare compreso tra i 2,47 miliardi di euro e i 3,61 miliardi di euro. Secondo la stessa fonte, inoltre, le sinergie di costi potrebbero non essere sufficienti per “garantire il futuro al sistema“. Per farla breve quindi per la fusione tra Banco BPM e UBI Banca servirebbero circa 3 miliardi di euro ed è per questo motivo che tutte le parti potenzialmente coinvolte si muovono con tantissima cautela. 

Intanto il prezzo delle azioni UBI Banca su Borsa Italiana oggi 14 ottobre segna un ribasso dell’1,57 per cento a quota 2,699 euro mentre le quotazioni di Banco BPM sono in ribasso dello 0,95 per cento a 1,984 euro. 

Tornando al discorso generale, secondo l’inserto L’Economia del Corriere della Sera, tutte le banche italiane (chi più e chi meno ma quella citata è comunque una tendenza ben precisa) presentano non solo le problematiche comuni agli istituti europei e mondiali, ma anche punti di debolezza tutti interni. In pratica, fermo restando che il contesto generale non sia semplice per tutte le banche mondiali, quelle italiane devono fare i conti anche con una serie di problematiche domestiche. 

Tra i problemi storici degli istituti bancari italiani, l’inserto del Corriere della Sera punta il dito verso la governance e il modello industriale. Altri punti deboli frutti di un modello che ha iniziato ad adeguarsi molto tardi alle esigenze imposte dal mondo globale ci sono anche la strutturale povertà di capitale e la modesta capacità di innovazione. L’Economia punta poi anche il dito su quelli che definisce “consigli di amministrazioni lunghi come un elenco telefonico” e sulle “rindondati organizzazioni interne“. Ovviamente la situazione rispetto ad alcuni anni fa è anche migliorata ma continuano ad esserci molte resistenze. 

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