auto Stellantis e grafico
Crollo azioni Stellantis - BorsaInside.com

Peggior avvio di scambi per le azioni Stellantis non ci poteva essere. Dopo il recupero messo a segno nella scorsa ottava, il colosso automotive ha avviato le contrattazioni della prima seduta della settimana con un ribasso del 2,6 per cento a 8,23 euro. Considerando che il paniere di riferimento di Piazza Affari nel suo complesso sta segnando una flessione dello 0,2 per cento, è chiaro che sia proprio il gruppo automotive a zavorrare più di tutti l’indice. Il nuovo crollo delle azioni Stellantis non può non impattare sulla prestazione settimanale della quotata che ora torna ad essere positiva per appena lo 0,53 per cento. Si allarga invece al 4,9 per cento il passivo dell’ultimo mese mentre resta sempre oltre il 34 per cento quello da inizio anno.

Al di là dei numeri, il vero punto è che il massiccio ritorno delle vendite sulle azioni Stellantis non fa altro che riportare con i piedi per terra tutti coloro i quali che la scorsa settimana si erano illusi circa la possibilità che il ritorno degli acquisti potesse essere inteso come il segnale di una inversione di rotta. I numeri di oggi dicono che l’ambiente non è ancora maturo per un simile passo. E allora centrale diventa capire perchè le azioni Stellantis stanno di nuovo crollando fermo restando che il ribasso ha sempre un’altra faccia della medaglia ossia la possibilità di comprare a prezzi più bassi.

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Cosa causa il crollo delle azioni Stellantis?

Il crollo delle azioni Stellantis non ha a che fare con motivi direttamente riguardanti il titolo ma al contrario è ispirato dal classico effetto dominio che spesso caratterizza il settore automotive. Il meccanismo è sempre il solito: vendite forti colpiscono una quotata del settore automobilistico per poi interessare anche le altre.

Nel nostro caso specifico, Stellantis crolla in scia al tracollo di Porsche e a quello conseguente di Volkswagen. Nel dettaglio le azioni Porsche stanno perdendo oltre il 7 per cento dopo l’annuncio del rinvio di alcuni modelli a batteria e la drastica revisione al ribasso delle prospettive di profitto per il 2025.

Il segnale ha avuto un effetto domino immediato anche sui principali azionisti con Volkswagen che in avvio di seduta è già arrivata a perdere il 3,8 per cento.

La svolta inattesa è arrivata lo scorso venerdì, quando Porsche ha comunicato il taglio delle previsioni di margine operativo: non più tra il 5 per cento e il 7 per cento come precedentemente stimato, ma al massimo del 2 per cento nell’esercizio in corso. Una correzione che riflette il difficile contesto competitivo. Nel secondo trimestre 2025, infatti, i profitti della società tedesca si sono quasi azzerati, schiacciati dalla frenata della domanda in Cina e dal peso dei dazi applicati in Usa.

A pesare sul futuro della gamma sono però anche i ritardi nell’introduzione dei modelli completamente elettrici, un segmento sul quale il marchio sportivo aveva puntato in maniera decisa. La società madre Volkswagen, che possiede il 75,4 per cento di Porsche AG, ha quantificato in 5,1 miliardi di euro l’impatto negativo derivante dalla revisione dei programmi industriali. Anche per Wolfsburg le stime sono state riviste: il margine operativo previsto scende ora al 2-3 per cento dal precedente 4-5 per cento.

Non fa eccezione Porsche SE, che ha ridimensionato le aspettative sugli utili netti dopo le tasse, segnalando un contesto in peggioramento per l’intero gruppo.

Gli analisti non nascondono preoccupazione. Secondo Jefferies, la revisione delle guidance potrebbe essere intesa come una sorta di ultima correzione, ma restano interrogativi legati al ciclo di prodotto e al posizionamento del brand sul mercato premium.

A prescindere da quelle che potrebbero essere le conseguenze di medio e lungo termine sul titolo dell’auto di lusso, il caso Porsche può essere emblematico delle difficoltà che attraversa l’industria automobilistica europea: da un lato la necessità di accelerare la transizione verso l’elettrico per rispettare gli obiettivi ambientali, dall’altro la realtà di una domanda incerta e di costi crescenti che mettono sotto pressione anche i marchi più redditizi e iconici. In mezzo a questi fuochi ci sono i trader che dinanzi ad una situazione confusa non possono che reagire nel solo modo possibile: ossia vendendo.

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