
L’allarme su possibili tasse doganali ha fatto impazzire i mercati per qualche ora, ma gli esperti restano ottimisti sul futuro del metallo prezioso
Il mondo dell’oro ha vissuto momenti di panico quando si è diffusa la notizia che l’amministrazione Trump stava considerando l’imposizione di dazi sui lingotti del metallo prezioso. Un fulmine a ciel sereno che ha mandato in tilt i mercati per qualche ora, prima che lo stesso presidente americano facesse marcia indietro e chiarisse che l’oro sarebbe stato esentato da qualsiasi misura protezionistica. Ma questa vicenda, per quanto breve, ha messo in luce le fragilità e le complessità di un mercato che continua a essere uno dei più seguiti dagli investitori globali.
Il panico che ha fatto volare i prezzi
La storia inizia con una “ruling letter” dell’U.S. Customs and Border Protection datata 31 luglio, secondo quanto riportato dal Financial Times. Il documento classificava i lingotti d’oro da un chilo e da 100 once troy sotto un codice doganale soggetto a dazi. Una notizia che, almeno in apparenza, sembrava di carattere tecnico-burocratico, ma che nascondeva implicazioni enormi per il funzionamento del mercato globale dell’oro.
Il problema non era tanto il principio quanto la pratica. Per soddisfare lo standard COMEX relativo ai lingotti da 100 once troy, i lingotti da 400 once troy negoziati presso la London Bullion Market Association vengono regolarmente “rifusi” in Svizzera, da dove vengono poi spediti negli Stati Uniti. Questo flusso commerciale, apparentemente routinario, rappresenta in realtà una componente fondamentale del commercio globale dell’oro.
Quando è emersa la possibilità che questo processo potesse essere soggetto a dazi, i futures sull’oro COMEX con scadenza a dicembre sono schizzati temporaneamente oltre i 3.500 dollari per oncia troy, creando un significativo premio rispetto al prezzo spot della LBMA. Era il segno che il mercato stava prezzando non solo il costo aggiuntivo dei dazi, ma anche il rischio di perturbazioni significative nel commercio dell’oro con sede a New York.
Il dietrofront presidenziale che ha calmato le acque
L’impennata è durata poco. Quando il presidente Trump ha chiarito pubblicamente che l’oro sarebbe stato esentato dai dazi, i prezzi sono rapidamente tornati sui livelli precedenti. Il mercato ha tirato un sospiro di sollievo, ma l’episodio ha lasciato un segno importante: ha dimostrato quanto il settore dell’oro sia sensibile alle decisioni politiche americane e quanto velocemente possano cambiare le dinamiche di prezzo quando entra in gioco l’incertezza normativa.
Per gli analisti di J. Safra Sarasin, guidati da Claudio Wewel, questo episodio rappresenta un campanello d’allarme per il futuro. Sebbene i timori a breve termine siano svaniti, l’incertezza commerciale potrebbe portare a un aumento della volatilità anche in altri mercati dei metalli preziosi. È un reminder del fatto che, in un mondo sempre più interconnesso, anche le decisioni apparentemente tecniche possono avere ripercussioni globali immediate.
Un mercato in cerca di equilibrio
Al di là del rumore di fondo creato dalla vicenda dei dazi, il mercato dell’oro sta attraversando una fase di relativa stabilità dopo il rally straordinario registrato da gennaio ad aprile. Da maggio, il metallo prezioso oscilla in un range relativamente ristretto compreso tra 3.300 e 3.400 dollari per oncia troy, una fascia che riflette l’equilibrio tra diverse forze contrastanti.
Da una parte, continuano gli acquisti delle banche centrali, anche se il ritmo si è notevolmente rallentato rispetto ai mesi precedenti. Nel secondo trimestre le banche centrali hanno continuato ad aumentare le proprie riserve auree, ma probabilmente a causa del prezzo elevato, gli acquisti hanno subito una frenata. Secondo il World Gold Council, nel solo mese di giugno le banche centrali hanno registrato acquisti netti per 22 tonnellate, un numero significativo ma inferiore ai picchi registrati in precedenza.
Gli acquisti istituzionali rimangono particolarmente robusti nelle economie emergenti. Polonia, Azerbaigian, Kazakistan, Cina e Turchia rappresentano i primi cinque acquirenti, un elenco che riflette la strategia di diversificazione dalle riserve in dollari perseguita da molti paesi. Dall’altra parte della bilancia, Uzbekistan e Singapore si sono posizionati come i maggiori venditori dall’inizio dell’anno, probabilmente per realizzare i guadagni accumulati durante il rally dei mesi scorsi.
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Il peso dei prezzi elevati sulla domanda retail
I prezzi elevati dell’oro stanno avendo un impatto tangibile sugli acquisti delle famiglie, un segmento che rappresenta oltre il 40% della domanda globale totale di oro nel 2024. L’effetto è particolarmente evidente nel calo della domanda di gioielli in oro, un settore tradizionalmente sensibile ai movimenti di prezzo del metallo prezioso.
I numeri parlano chiaro: nel secondo trimestre di quest’anno, la domanda di gioielli in India e Cina ha raggiunto rispettivamente solo il 60% e il 45% circa delle medie di lungo termine. Si tratta di una contrazione significativa che riflette la reazione dei consumatori a prezzi che hanno raggiunto livelli storicamente elevati. L’India e la Cina rappresentano due dei mercati più importanti per la domanda fisica di oro, quindi questa flessione ha un peso considerevole sull’equilibrio globale tra domanda e offerta.
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Le prospettive di investimento restano solide
Nonostante le turbolenze a breve termine e il rallentamento della domanda retail, gli esperti di J. Safra Sarasin mantengono una visione ottimistica sulle prospettive di investimento nell’oro. Dopo una pausa a metà luglio, gli afflussi netti verso gli ETF sull’oro fisico hanno ripreso slancio negli ultimi tempi, in particolare in Nord America, segnalando che l’interesse degli investitori istituzionali rimane elevato.
Le previsioni macroeconomiche supportano questa visione positiva. Gli analisti continuano a prevedere un rallentamento dell’attività economica negli Stati Uniti, che dovrebbe consentire alla Federal Reserve di procedere ad almeno 50 punti base di tagli dei tassi entro la fine dell’anno. Questa prospettiva è fondamentale per l’oro perché i tagli dei tassi dovrebbero spingere al ribasso i rendimenti reali statunitensi, riducendo il costo-opportunità derivante dal detenere un asset che non produce rendimenti come l’oro.
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Un target ambizioso per fine anno
L’incertezza macroeconomica e politica è destinata a rimanere elevata nei prossimi mesi, un fattore che storicamente ha favorito gli investimenti nei beni rifugio come l’oro. Con le posizioni lunghe nette tornate ai livelli prevalenti all’inizio del 2024, l’attuale posizionamento non appare eccessivo, lasciando spazio per ulteriori acquisti da parte degli investitori.
È anche confermata la previsione di un ulteriore indebolimento del dollaro, un altro fattore che potrebbe sostenere i prezzi dell’oro nei prossimi mesi. Un dollaro più debole rende l’oro più accessibile per gli investitori che utilizzano altre valute, stimolando potenzialmente la domanda globale.
Sulla base di queste considerazioni, J. Safra Sarasin mantiene una visione positiva sull’oro e conferma il target di fine anno a 3.600 dollari per oncia troy. Si tratta di un obiettivo ambizioso che implicherebbe un ulteriore rialzo di circa il 6-8% rispetto ai livelli attuali, ma che appare giustificato dalle prospettive macroeconomiche e dalla persistente domanda di beni rifugio in un contesto di elevata incertezza globale.
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